Protesta in maschera contro le sostanze chimiche dannose nei prodotti outdoor


sostanze chimiche

Dalle località sciistiche ai parchi urbani, dai boschi ai monti di tutta Italia, gli amanti della natura insieme agli attivisti di Greenpeace hanno deciso di vestirsi in maniera inconsueta, sfruttando l’ultimo fine settimana di Carnevale, per protestare contro la presenza di sostanze chimiche pericolose e persistenti, dannose per la salute e l’ambiente, nei prodotti dei maggiori marchi del settore outdoor. La protesta di ordine globale che si è tenuta in questi giorni in forme diverse in 19 Paesi del mondo dall’Australia alla Cina, dalla Germania alla Slovenia, ha visto partecipi anche i volontari del gruppo locale di Greenpeace di Catania che si sono recati sul versante sud del vulcano Etna.  Nel rapporto Tracce nascoste nell’outdoor, pubblicato qualche settimana fa da Greenpeace, emerge infatti come alcuni dei maggiori marchi outdoor continuino a usare PFC per impermeabilizzare i loro prodotti, nonostante si dichiarino a parole sostenibili e amanti della natura. I PFC sono composti chimici che non esistono in natura e, una volta immessi nell’ambiente, possono diffondersi ovunque inquinando anche le aree più remote del Pianeta accumulandosi nei tessuti degli animali e persino nel sangue umano – come precisano i volontari Greenpeace nel rapporto- Queste sostanze possono causare seri danni al sistema riproduttivo e ormonale, oltre ad essere collegati a numerose malattie gravi come il cancro. “Piuttosto che andare in montagna con abbigliamento contenente PFC, abbiamo deciso di vestirci in modo insolito per far riflettere gli appassionati di montagna e sport all’arta aperta ma anche i marchi più popolari del settore sulla necessità di non usare sostanze pericolose” afferma Giuseppe Ungherese, campagna inquinamento di Greenpeace Italia. Greenpeace ha analizzato 40 prodotti, votati nei mesi scorsi dagli appassionati di tutto il mondo sul sito web dedicato, trovando PFC non solo nell’abbigliamento, ma anche in scarpe, tende, zaini, corde e perfino sacchi a pelo. Solo in 4 prodotti, il 10 per cento quindi, non sono stati rilevati PFC, dimostrazione del fatto che solo poche aziende si stanno muovendo nella direzione giusta. “È paradossale che quando indossiamo l’abbigliamento per le nostre attività in mezzo alla natura contribuiamo a contaminarla con sostanze pericolose. Con la protesta di oggi gli appassionati dell’outdoor chiedono con forza ai loro marchi preferiti di invertire la rotta e scegliere alternative più sicure” conclude Ungherese.

 

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