Teatro: equivoci e colpi di scena con “L’ispettore generale” di Gogol’


l'ispettore generale
Una scena dello spettacolo "l'ispettore generale" di Gogol

«Signori, vi ho convocati per comunicarvi una notizia spiacevolissima: arriva un ispettore»! Da questa prima battuta, che annuncia la “catastrofica novità”, una cittadina letargica, sperduta nell’enorme distesa della Russia di primo Ottocento, non conoscerà più pace.

L’istrionico Gogol’ approda al Teatro Stabile di Catania, guidato dal direttore Giuseppe Dipasquale, con “L’ispettore generale”: un testo che si fonda su un imbarazzante equivoco e dove regnano derisione e mascalzonaggine, imbroglio e nessuna buona fede.

Sul palcoscenico etneo è di nuovo, dunque, protagonista un altro grande capolavoro del Realismo russo: dopo lo straordinario successo de “Il giardino dei ciliegi” di Čechov, arriva l’immaginifica e divertente pièce gogoliana, con la sorprendente regia del giovane ma pluripremiato Damiano Michieletto, in scena dal 10 al 14 dicembre per il secondo appuntamento previsto in cartellone alla sala Verga.

Dalla sottile ironia cechoviana alla satira grottesca di Gogol’ – segno distintivo dell’intellettuale di origine ucraina – il passo è molto breve: le loro rispettive opere sono due facce della stessa medaglia che ritraggono la pošlost, quella “meschinità autosoddisfatta, morale e spirituale”, caratteristica precipua della società russa dell’800, segno di un declino che da lì a poco investirà, annientandolo, l’intero impero degli zar.

«Vero è che quello dello Stabile etneo è un teatro caratterizzato da un’anima fortemente siciliana – ha sottolineato Dipasquale – ma la nostra attenzione è sempre rivolta agli aspetti culturali, artistici e sociali di respiro universale. Per questo motivo abbiamo aperto nel segno della letteratura russa, perché si ha anche il dovere di riproporre i classici di ogni tempo, che non possono non trovare affinità con la società contemporanea».ispettore generale

Con un attento lavoro di modernizzazione, il nuovo allestimento dell’amarissima e corrosiva commedia, per la quale Gogol’ trasse l’ispirazione da un fatto di cronaca, è frutto della co-produzione tra il Teatro Stabile del Veneto e Teatro Stabile dell’Umbria. Le scene sono curate da Paolo Fantin e illuminate dalle luci di Alessandro Carletti, mentre i costumi sono di Carla Teti.

Sul palco una schiera di abili attori come Alessandro Albertin, Luca Altavilla, Alberto Fasoli, Emanuele Fortunati, Michele Maccagno, Fabrizio Matteini, Eleonora Panizzo, Silvia Paoli, Pietro Pilla, Giacomo Rossetto e Stefano Scandaletti.

«Vero è che quello dello Stabile etneo è un teatro caratterizzato da un’anima fortemente siciliana – ha sottolineato Dipasquale – ma la nostra attenzione è sempre rivolta agli aspetti culturali, artistici e sociali di respiro universale. Per questo motivo abbiamo aperto nel segno della letteratura russa, perché si ha anche il dovere di riproporre i classici di ogni tempo, che non possono non trovare affinità con la società contemporanea».

L’adattamento drammaturgico de “L’ispettore generale”, con l’idea di ricontestualizzare la storia nella Russia di oggi, è dello stesso Michieletto – il trentottenne artista veneziano conosciuto per le sue regie liriche nei maggiori teatri del mondo, ospite fisso a Salisburgo – che rivela di aver voluto così riprodurre «un’umanità gretta e sporca, raccontata continuamente per la sua aspirazione al lusso, al divertimento facile, ad un altrove forse ancora più gretto e meschino della realtà».

Rappresentata per la prima volta a San Pietroburgo nel 1836, infatti, tutta la vicenda de L’ispettore generale ruota attorno ad uno scambio di identità: i notabili confondono per l’atteso revisore dei conti in missione un arguto e giovane impiegato- che è peraltro in difficoltà economiche- ed iniziano a blandirlo. I tantissimi personaggi si affanneranno in una corsa sfrenata per coprire magagne e falsità, unici atteggiamenti di una comunità che conosce soltanto la corruzione. E via via che i garbugli si susseguiranno, si sveleranno trame vischiose e singolari sotterfugi.

Lo spettacolo di Michieletto insiste per lo più in un antico bar anni ’60 perché, spiega il regista, «ho voluto costruire una storia che puzza di alcool e di gente ubriaca. L’alcool diventa quasi un concetto che perdura nei cinque atti: usato per calmare la paura, per comunicare la propria virilità, per festeggiare e far baldoria, per annegare la propria depressione. Del resto, qual è la prima cosa che il Sindaco e la sua combriccola fanno nell’accogliere il presunto Ispettore? Lo fanno bere, lo ubriacano».

 

 

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