Fra precariato e disoccupazione, arriva il NEET di professione


Direttamente dal Regno Unito, ecco a voi l’acronimo inglese che etichetta i giovani d’oggi, NEET, Not (engaged) in Education, Employment or Training; in Italia sono i  NE’ NE’ con riferimento alla doppia esclusione sia da percorsi scolastici/formativi che da attività lavorative. Un fenomeno sociale allarmante, un fenomeno che dilaga interessando anche altri paesi del mondo, ma che vede nell’Italia la nazione con la peggiore performance dopo Grecia e Bulgaria.

Secondo l’Istituto nazionale di statistica (Istat), 3,755 milioni di giovani italiani sono NEET; di questi 2,11 sono donne, 1,64 uomini e il 36% risiede al Sud.  Dati inquietanti non solo perché in aumento rispetto al 2012, ma soprattutto se si considera che i NEET italiani risultano essere di gran lunga superiori ai coetanei tedeschi, francesi e inglesi. Come se non bastasse, a profetizzare un futuro non troppo roseo ci pensa l’innalzamento della soglia d’età -dai 29 ai 34 anni- che sarà applicata dai prossimi rilevamenti Istat.

Se il Ministero del Lavoro non sembra essere insensibile al fenomeno intervenendo col progetto “AMVA”, che mira a fornire una concreta esperienza in azienda ai giovani laureati non studenti né lavoratori, è bene precisare che l’acronimo inglese indicherebbe  non tanto il giovane disoccupato, in qualche modo rientrante in un fenomeno socialmente regolare e quasi fisiologico, quanto il giovane che rifiuta qualsiasi tipo di formazione (scuola, università, corsi specialistici, seminari, master) e di lavoro (apprendistati, tirocini, stage).

Il NE’ NE’ sarebbe dunque l’inattivo che, non trovando una collocazione sociale rispondente alle proprie aspettative, si rifiuta di essere socialmente attivo esponendosi ad ulteriori complicanze quali l’analfabetismo di ritorno e un ulteriore progressivo allontanamento dalla società. Un fenomeno legato alla dinamica del mercato del lavoro e ai tempi di collocamento professionale, un limpido specchio di pauperizzazione e precariato, ma di certo anche un evidente segnale di malessere sociale, un fenomeno tanto complesso quanto delicato che non può  e non deve essere sottovalutato.

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