La poesia dialettale di Angela Bonanno trionfa al Premio Pascoli


Angela Bonanno
Angela Bonanno

“Strammata” è il titolo della silloge dell’autrice catanese Angela Bonanno che si è aggiudicata il Premio Pascoli di Poesia nella sezione dialettale. Promosso dagli industriali di Sammauroindustria, il prestigioso riconoscimento – definito il “Campiello della poesia” – è giunto alla 17esima edizione con la partecipazione di 163 opere provenienti da tutta Italia, di cui 131 in lingua e 32 in dialetto. Ad essere premiato nella sezione in lingua, invece, è stato Giancarlo Pontiggia. La cerimonia di premiazione si è svolta l’1 settembre a San Mauro Pascoli, comune natale del celebre poeta romagnolo.

Per la poetessa, o meglio poeta (come preferisce essere chiamata, in quanto è una parola “ca finisci fimmina”), Angela Bonanno non si tratta del primo riconoscimento letterario e, oltre ad essere autrice di numerose poesie, ha pubblicato due romanzi. “Quando ho ricevuto il Premio Pascoli ero davvero emozionata e incredula. –  racconta l’autrice a Sicilia & Donna –  Mi sono resa conto che le parole vanno oltre e sono riuscite ad arrivare al pubblico, a prescindere da me o dalla forza della piccola casa editrice Forme Libere.”     Prima di iniziare l’intervista, ci comunica con entusiasmo di aver saputo da poco che il suo romanzo “Prima dammi il pane” ha ottenuto una menzione di merito nell’ambito della 35esima edizione del “Premio letterario Città di Cava de’ Tirreni”.

 

Intervista ad Angela Bonanno

Cosa rappresenta per lei questa premiazione (tra l’altro all’unanimità) avvenuta proprio nel comune natale del grande poeta?

“Sicuramente per me è un salto, come i bambini che raggiungono diversi step quando crescono. Lo considero un salto di crescita dal punto di vista letterario: lo è per il prestigio della giuria, per l’unanimità, per come si è svolta la premiazione, per le reazioni intorno a me, ma soprattutto per il calore e lo stupore. Non ho dormito tutta la notte dopo la premiazione. Non è il primo premio che vinco, però stavolta ero veramente emozionata e incredula. Mi sono resa conto che le parole vanno oltre e sono riuscite ad arrivare al pubblico, a prescindere da me o dalla forza della piccola casa editrice Forme Libere”.

La silloge per cui è stata premiata s’intitola “Strammata”, un termine che, tradotto in italiano, perde inevitabilmente alcune sfumature. Cosa racchiude? Qual è il filo conduttore?

“Il tema ricorrente è sicuramente u strammamentu (devo dirlo in siciliano per forza!). Strammata può essere tradotto con ‘fuori dall’ordine precostituito delle cose’, ma ha tanti altri significati. Qualcuno utilizza la parola strammata con un’accezione negativa; ad esempio, quando ci si trova di fronte ad persona diversa di cui si ha paura o per riferirsi a qualcuno che esce fuori dagli schemi. Nella mia raccolta di poesie tutto ruota attorno a questa parola, che poi diventa aggettivo, sostantivo, verbo.”

Quando ha scoperto di avere questa vocazione per la poesia?

“Penso che una predisposizione innata ci sia sempre, a dipingere, cantare, a ballare… Nel mio caso, fin da piccola avevo un modo particolare di parlare e di guardare il mondo, come se le cose intorno a me mi parlassero: mi rattristava un muro grigio, una finestra rotta o una pianta appassita, così come mi rallegrava un fiore sbocciato o un monumento. Ho sempre avuto questa forte sensibilità, poi ho scritto cose ignobili che fortunatamente sono andate distrutte. Intorno ai 30 anni ho ricominciato a scrivere e ho trovato il coraggio di presentarmi a un editore, a un concorso e così via. È stato tutto un crescendo, un percorso che non si è arrestato. Ho ricevuto tanti riconoscimenti, nonostante io per prima non abbia mai creduto molto ai premi perché in realtà non è un premio a dirti se hai talento. Eppure, quasi per punizione, tutti i miei libri (tranne uno) hanno ottenuto un premio o una menzione. Il primo è stato quello dedicato al grande Salvo Basso, che ha avuto il merito di sdognare la nuova poesia siciliana ed è stato il paladino che ha dato il coraggio a me e ad altri poeti di fare ciò che ognuno di noi sentiva.”

La sua predilezione per il siciliano è evidente. Possiamo dire che il dialetto si rivela più evocativo e riesce a scavare meglio nel profondo?

“Assolutamente sì, evocativo è proprio la parola giusta e mi piace moltissimo. Anche nei miei romanzi più che narrare uso una scrittura evocativa. Credo che il siciliano riesca ad avvicinarsi di più alla verità rispetto all’italiano, è così come viene, non ha sovrastruttura. Poi ci sono dei termini intraducibili, si possono dire solo in dialetto e, quando vengono tradotti, si perde il significato. A proposito di dialetto, durante la premiazione a San Mauro Pascoli ho tradotto le mie poesie in italiano. Alla fine qualcuno è venuto a complimentarsi, dicendomi che avrei potuto anche fare a meno di tradurre perché aveva colto il significato di tutte le poesie, tranne qualche parola. Questo è meraviglioso perché dimostra che il siciliano, che andrebbe considerato una lingua a tutti gli effetti, riesce ad arrivare.”

 

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