Valeria Contadino: “Il drammatico gesto di una madre”


Nel backstage del Teatro Musco poco prima del debutto catanese incontriamo l’attrice Valeria Contadino, protagonista dell’atto unico “Se’ Nummera”, nato dalla penna di Salvatore Rizzo e diretto da Vincenzo Pirrotta, una produzione dello Stabile di Catania, che sarà in scena fino all’otto maggio. Scopriamo insieme a lei i lati più profondi ed intimi del suo intenso e drammatico personaggio senza tralasciare i suoi ultimi successi teatrali.

Interpreta Anna una madre segnata dalla vita. Quando ha letto per la prima volta questo testo cos’ha provato?

“Avevo dato da poco alla luce i miei due gemelli. Era un momento speciale e tranquillo della mia vita, una situazione totalmente opposta a quella del mio personaggio. Il testo mi ha colpito subito. L’intensità della lettura è paragonabile ad un pugno nello stomaco. L’impatto emotivo inevitabilmente è stato devastante. Il testo è forte e, nonostante utilizzi come registro linguistico il dialetto, non ha confini mentali o geografici, perché può essere vissuto da qualunque uomo o donna in qualsiasi parte del mondo e questa mancanza di orpelli linguistici rende ancora più drammatica l’esperienza vissuta dai protagonisti”.

Vivendo una situazione di madre felice ed appagata ha cercato di capire il gesto disperato del suo personaggio che arriva addirittura ad uccidere il figlio?

“Ho apprezzato molto che i protagonisti in tutto il plot narrativo non vengono mai giudicati. Orazio ed Anna sono una coppia normale a cui è stata destinata una condanna di un figlio tetraplegico. La vincita al superenalotto sconvolge la mente di questi genitori e sarà il pubblico che dovrà decidere ed ognuno la penserà in modo diverso. Una volta i figli con problemi gravi si dovevano nascondere, perché erano una vergogna. Ora per fortuna se ne parla ed è giusto che sia così. Da mamma mi sono commossa molto nell’interpretare questo ruolo. Vedo la gente uscire da teatro con gli occhi lucidi, perché si tocca un tasto particolare dell’animo umano. Se Orazio ed Anna avessero avuto un maggior dialogo e non si fossero isolati nel loro rancore non sarebbero, forse, arrivati a compiere quel tragico gesto”.

Prima di approdare al Musco lo spettacolo ha debuttato al Biondo di Palermo. Ci racconta come hanno reagito i palermitani?

“Il pubblico ha accolto la pièce in maniera straordinaria. Abbiamo registrato ogni sera il tutto esaurito al punto tale da dover prolungare di due giorni la programmazione con dei doppi turni. Le dimostrazioni d’affetto sono state tante. Siamo stati contenti del trionfo che ha suscitato una tematica così delicata dai risvolti tragici”.

È la prima volta che lavora con Vincenzo Pirrotta, Filippo Luna e Salvatore Rizzo. Come si è trovata in questo nuovo gruppo di lavoro?

“Il nostro è stato un incontro fortunato, perché con Filippo Luna dall’iniziale stima professionale si è instaurata una bella amicizia ed abbiamo lavorato molto bene insieme. Conoscevo già i lavori di Vincenzo Pirrotta e il suo modo di realizzare gli spettacoli e mi aspettavo sin dall’inizio un lavoro importante e ben fatto. Totò Rizzo è un uomo molto dolce oltre che preparato e mi ha sempre ripetuto: “Ormai Palermo ti ha adottato”. Mi sono trovata molto bene ed è stata una bella esperienza umana e professionale”.

Il 2014 è per Valeria Contadino un anno ricco di successi. Per la messa in scena del testo di Oscar Wilde, “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, produzione del Teatro Quirino di Roma, ha ricevuto tanti consensi da parte della critica e del pubblico. Tra tutti ricordiamo: “Mi è venuta voglia di rileggere il libro”. Cos’ha provato dopo questo complimento?

(ride)

“Con “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, siamo ancora in tour e il nove maggio, l’indomani della conclusione della programmazione al Musco, saremo al Massimo di Palermo. Qui interpreto Guendoline Fairfax una donna molto brillante, colta e raffinata. È un ruolo che mi ha dato tante soddisfazioni e che mi ha divertito molto. Quando si hanno reazioni di questo tipo da parte del pubblico ci si può ritenere più che soddisfatti, perché riuscire a trasmettere emozioni e sensazioni positive al punto tale da riprendere il libro in mano e rileggerlo è il più bel complimento che possa ricevere un attore”.

Dal suo debutto nel 1998 con il Birraio di Preston ad oggi ha interpretato diversi ruoli. C’è un personaggio a cui è più legata?

“È una domanda difficile, perché quando si realizza un ruolo inevitabilmente si regala sempre qualcosa di noi al personaggio a cui si dà vita. Non posso sceglierne solo uno. Ci sono alcuni ruoli a cui rimarrò per sempre legata come L’allieva ne La lezione di Ionesco con Pattavina o Diana ne La Governante di Brancati, ma ce ne sono tanti altri”.

Lei è mamma di cinque figli. Se un giorno i suoi bambini ormai adulti decidessero di intraprendere la sua stessa strada li aiuterebbe o magari preferirebbe che scegliessero un lavoro più sicuro?

“Devo essere sincera?! Non li incoraggerei, perché in questo momento si sta vivendo una crisi culturale paurosa. Non c’è in Italia il rispetto per la cultura, non s’investe e non essendoci un’educazione culturale tale che dia realmente concretezza avrei dei dubbi sul loro futuro. È vero che le passioni vanno coltivate ed incoraggiate a prescindere dall’ambito lavorativo in cui decideranno di cimentarsi e ovviamente non li ostacolerei, ma per il momento che stiamo vivendo avrei paura. Alcuni dei miei figli sono molto incuriositi dal mio lavoro e riescono ad avere un occhio critico su ciò che faccio. Chissà … speriamo bene”.

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