Manlio Dovì: Ci siamo tutti paurosamente uniformati


Manlio Dovì
Manlio Dovì

Il poliedrico Manlio Dovì, siciliano doc, è tra i protagonisti di Tale e Quale Show su Rai Uno. L’imitatore, curato in esclusiva nazionale dalla Antonio Saeli Management, si è già fatto notare nella prima puntata del varietà di “mamma Rai”, conquistando il primo posto con il personaggio di Aznavour. “Per ogni personaggio che porterò davanti la giuria – spiega Dovì – non serve solo sapere cantare ma conta anche l’interpretazione. Sicuramente le imitazioni fatte in questi anni mi agevoleranno ma quelle erano parodie. Queste saranno imitazioni fedeli . È importante curare il personaggio”.

Intervista a Manlio Dovì

C’è un artista che le piacerebbe portare sul palco di “Tale e Quale Show”?

Manlio Dovì
Manlio Dovì

“Frank Sinatra ma è stato interpretato lo scorso anno. Mi piacerebbe anche Michael Bublé. Non potrò decidere, quello che piace a me passa in secondo piano. Questo è un banco di prova. Sicuramente nei miei spettacoli ricordo Sinatra e Lucio Dalla”.

Oltre trent’anni di onorata carriera, com’è cambiata la televisione rispetto ai suoi esordi?

“Tanto, oggi è molto approssimativa. Non è richiesta nessuna dote o qualità per fare televisione. Ci sono trasmissioni con poca fantasia e poca arte. Oggi solo in Tale e Quale e in Ballando con le stelle, c’è uno studio tecnico dietro. Una organizzazione curata nel dettaglio. Molta televisione invece oggi è fatta da non professionisti”.

Da siciliano, come vede il futuro della nostra Terra?

“Incasinata ma sempre meravigliosa. Nei miei spettacoli unisco l’utile al dilettevole. Ho un rapporto un po’ conflittuale perché vedo la mia città cambiata in modo negativo, la trovo sempre più confusionaria. Stiamo perdendo le nostre tradizioni e la nostra identità legata alla gastronomia, alla bellezza dei posti. L’Italia e soprattutto la Sicilia credo che stiano vivendo un forte momento di crisi esistenziale. Non vedo molte aperture. Vedo un mondo che cambia e che non tornerà più. Non è più quello dello Struscio, una volta ci si guardava e ci si salutava. Adesso, anche da noi, si guarda un monitor o uno smartphone”.

Nella sua carriera è passato dal serio al comico, oggi quanto è difficile far ridere il pubblico?

“Nei momenti più tristi e più bui, paradossalmente si ha più l’esigenza di ridere. I miei genitori e i miei nonni mi raccontavano che si rideva anche durante la guerra. Si rideva perché bisognava vivere e gustare ogni minuto della propria vita. Se hai tutto e vivi benissimo, forse, è più difficile far ridere. Sono sempre gli opposti che attirano. Oggi è più difficile far ridere, perché in passato abbiamo riso di tutto e con tutto. Anche la satira è in crisi perché i personaggi di oggi sono più difficili, sia da imitare per le caratteristiche fisiche che per le parodie. Oggi, ad esempio, non c’è più il Cossiga con l’accento sardo marcatissimo. Cuperlo, Civati, la Boschi non hanno nulla da imitare. Prima si rideva sulla Iervolino. Si sta modificando tutto perché è diventato tutto molto serioso, asettico. Molto neutro, non ci sono aspetti da sottolineare.  Il cinema comico, a parte qualche rarissimo caso, è in crisi enorme. Alcuni film non fanno più ridere. Ecco che ci si butta sul dramma e la fantascienza. Si è persa la normalità e la semplicità della risata. Siamo diventati quasi tutti dei robot. Lo avevano anticipato grandi attori come Sordi. Oggi non esiste più un americano a Roma, sarebbe considerato lo scemo del villaggio. Ci siamo tutti paurosamente uniformati”.

 

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