Il destino di Francesco Viviano, una delle firme di punta di Repubblica, sembrava segnato. Invece, una passione, anche in un quartiere a rischio come quello dell’Albergheria di Palermo, può cambiare il destino di un uomo. Figlio di un padre che si arrangiava a fare il ladro, e morto a ventidue anni durante una sparatoria, e di una madre eroina, donna di pulizie, che lo toglie dalla strada e lo introduce negli ambienti dell’Ansa, diventerà uno dei più importanti cronisti italiani. Sembra proprio la madre la figura chiave di questa biografia, di questa storia di riscatto, che lo stesso Viviano ha rievocato durante un incontro con il pubblico della Feltrinelli di Catania. A presentarlo un magistrato di punta dell’antimafia, Sebastiano Ardita, che ha evidenziato il coraggio e la professionalità del giornalista, minacciato più volte da Cosa nostra. Lo stesso Viviano racconta episodi importanti della sua carriera, come le rivelazioni scottanti avute in anteprima di fatti di cronaca decisivi, di come sia stato difficile vivere nella Palermo delle stragi degli anni novanta. Emerge il ritratto di un uomo autentico, di un giornalista coraggioso e tenace, che è riuscito a farsi da solo: “tempo fa mi trovavo con la mia famiglia nel ristorante dell’albergo lussuoso della Vela di Dubai e mi chiedevo, chi me l’avrebbe detto che un giorno dall’Albergheria di Palermo mi sarei ritrovato in questo posto di lusso?” Ma il cuore si scioglie soprattutto quando Viviano ricorda la madre, a cui deve tutto: “un giorno mi chiese, durante l’attesa per una terapia medica, di conoscere Giovanni Falcone che veniva nello stesso posto; fu così insistente che dovetti presentarglielo. Arrivai all’Ansa di Palermo come fattorino, raccomandato da mia madre che faceva le pulizie lì. Diventerò prima telescriventista e poi giornalista. Devo tutto a lei.”
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