L’obiettivo e’ quello di riscattare quel Sud che sa di morte, di polvere e stantio, quello di Vittorio Bodini, poeta pugliese dal cui verso l’iniziativa prende il nome, quello in cui le case diventano “facce di un dado” e gli uomini “numeri” tirati a sorte. Un Sud ormai banalmente politicizzato in brand essenzialmente estivi, un Sud che suona come provocazione, un Sud -va da sé- da cui prendere apotropaicamente le distanze e -al contempo- le mosse per ripartire e ridare onore e gloria a quel fascinoso coaervo di storia, cultura e bellezza che e’ il Mezzogiorno.
Sono istanti, sono brividi e respiri, sono il non detto, il desiderato, sono attese. Sono donne, le donne del Sud, epifania e metafora di eros, sono femmine, vertigine di fuoco e passione. “Tenere come l’ombre, voraci come bei fiori”, scriveva la Merini, vittime e dominatrici, vestali del focolare, simbolo di un atavico matriarcato sommerso, invisibile o dissimulato, da cui Sciascia, polemizzando,prendeva le distanze. Sono dolcezza e debolezza, sono passione e determinazione, acqua cheta e fuoco iroso, sono contraddizione. Sono Medea, sono Circe, sono Penelope, madri, amanti e mogli.
Dalla storica ragazza in bikini di Piazza Armerina alle immancabili, seppur eccessivamente commercializzate, icone della femminilità mediterranea, Bellucci e Cucinotta, si passa alle labbra carnose, alle folte sopracciglia, alle immagini con e senza veli, de visu o di spalle, donne provocate o provocanti. Case trezzote, trazzere baresi, entroterra siculi e cortili pugliesi, fanno da sfondo a vecchie e nuove generazioni, in mostra o ascose, dietro le tende, giù per le vie, fra pose cercate e scatti rubati. Spesso e’ la piazza la scena padrona: la chiesa, il caffè, i giovanotti desiderosi e sognanti o gli uomini, in posa, con le braccia conserte e lo sguardo maschio, compiaciuto, di chi forse non sa di essere comparsa in una scena, di foto e di vita, tutta al femminile, quella essenzialmente matriarcale del Sud.
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