Urbanistica, storia e vita dei luoghi


Un nuovo modo di concepire l’urbanistica, un’analisi delle città attraverso la “narrazione” dei luoghi e di coloro che ne vivono la quotidianità. E’ questa l’impostazione innovativa proposta da Enzo Scandurra nel suo libro “Vite periferiche. Solitudine e marginalità in dieci quartieri di Roma.”, presentato nella Città della Scienza in occasione del secondo CutganaBook.

Il giornalista Piero Maenza, ha delineato la struttura del libro. Un testo con cui il docente dell’Università “Sapienza” di Roma e scrittore romano propone una riflessione sull’urbanistica odierna addentrandosi nella vita dei quartieri per capire come siano vissuti dalla gente e se in modo conforme o meno all’idea originaria di chi li ha progettati e ne ha guidato la realizzazione.

 

Per Pietro Barcellona – studioso di filosofia, saggista, giurista –  Scandurra rappresenta “un paradigma umano, una persona che può essere assunta come un modello di rapporto con il mondo esterno per il suo vivere un’intima e profonda comunicazione con ciò che lo circonda” evidenziando la “colpevole assenza di rappresentanti delle forze politiche cittadine in occasione di un appuntamento importante in cui si trattano temi di vitale importanza per il benessere dei cittadini” e che proprio Scandurra ha realizzato studi a Catania sul tema dello spazio urbano. “Scandurra – ha aggiunto Barcellona – non è solo un urbanista, ma un umanista che riesce ad avere una visione d’insieme, una filosofia, una poesia della città. Nel libro ha individuato come tema focale il rapporto tra spazio, territorio e storia perché non esiste una città senza storia, una storia che però è quasi sempre scritta dai vincitori, da coloro che detengono il potere e non da coloro che vivono l’esperienza di abitarle.” Il testo, infatti, propone una serie di piccole storie di personaggi che introducono una filosofia in cui lo spazio è legato al tempo e gli stessi non possono che rimandarsi reciprocamente. “La città antica – ha spiegato Barcellona – perseguiva la felicità degli abitanti attraverso lo stare insieme, mentre la città attuale è funzionale, alienante, prescinde da valutazioni etiche, dalle esigenze dei singoli”. Quella di Scandurra è, quindi, una città della narrazione, della convivenza che si oppone alla funzionalità, una convivenza che inventa le funzioni, non le subisce come premessa, una città dei legami, dei luoghi di incontro, contrapposta all’alienazione della solitudine individualistica.

La docente di Urbanistica dell’Ateneo di Catania, Piera Busacca, partendo dalle descrizioni dei quartieri romani del libro di Scandurra, ha rilevato e delineato significative similitudini con alcune zone periferiche o degradate della città di Catania evidenziando come “gli architetti, gli urbanisti che hanno progettato questi quartieri li hanno razionalmente pensati come prototipo della città perfetta, ma questa immagine si scontra con l’esperienza del vivere quotidiano in questi luoghi”. Spazio poi agli elementi “positivi”, alle “piccole storie che nascono, si sviluppano in questi quartieri e che sono espressione del protagonismo degli abitanti, forme umane che resistono e si organizzano – ha aggiunto la docente etnea – è necessario considerare non più soltanto la progettazione urbana funzionale realizzata dai tecnici, ma anche l’altrettanto, se non più importante, progettazione degli abitanti, che alterano i luoghi per renderli più vivibili, per disegnare propri spazi di solidarietà e convivenza”. “Purtroppo è fallita l’idea di perfezione della città a lungo proposta dai tecnici dell’urbanistica, dato che esistono dei saperi comuni progettanti che superano quelli esclusivamente tecnici – ha concluso la prof.ssa Busacca – il che dovrebbe produrre dei cambiamenti anche all’impostazione didattica accademica affinché l’università smetta di essere autoreferenziale e torni ad essere luogo di promozione del territorio”.

Poi lo scrittore romano ha evidenziato il rapporto particolare con la città di Catania e la “complicata gestazione del libro” spiegando “di aver scelto la descrizione narrativa e non quella tipica dei saggi per non lasciare uno scarto tra queste vite di sconfitti, ma non rassegnati, tra questi luoghi anch’essi sconfitti, ed il modo distorto e parziale in cui ci vengono raccontate, descritte, presentate le città dalla televisione, dai media, dal sentire comune”. “Ho cercato – ha continuato – di entrare in questi vissuti, molti dei quali sono autobiografici, e contemporaneamente di tenere uno sguardo distante, raccontare i sentimenti senza cadere nel sentimentalismo”. Scandurra ha posto lo sguardo sul radicamento tra le persone e i luoghi, sulla vena di nostalgia, intesa in senso positivo, che caratterizza l’esistenza dell’uomo comune, sugli “anacronismi”, “spazi di libertà, pause, momenti di resistenza contro l’accelerazione, la velocità del mondo odierno”. I suoi personaggi “sono sconfitti, ma non rassegnati, non perché si siano organizzati o abbiano istituito entità superindividuali, ma per quella forza ed irriducibilità che viene dalla vita stessa”. Il suo è un nuovo modo di raccontare l’urbanistica, non più fatta di disegni, descrizioni, calcoli, ma di vita vera, di persone, di luoghi che hanno per queste un valore non più funzionale, ma sentimentale.

 

 

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