“N’gnanzou”, l’intenso Pirrotta racconta la sacralità della mattanza


 

“Quando il destino non ti accontenta, chiedi conforto alla poesia”. Sarebbe fantastico poter soddisfare questo concetto ma, nella peggiore delle ipotesi, si può sempre provare e lasciarsi andare a qualcosa di spirituale. Vincenzo Pirrotta, autore, attore e regista ci fa vivere questo incitamento dall’inizio alla fine del suo “N’GNANZOU’ – storia di mare e di pescatori”, dove il dramma della “mattanza” si fonde con la poesia del suono e del canto antico. L’artista palermitano è una vera e propria forza della natura e ha portato la sua performance, dopo anni di successi, domenica 17 novembre, anche a Messina, presso la Sala Laudamo. Lo spettacolo rientra nella “Rassegna teatrale di opere prime”, intitolata “La Prima Volta”, nata dal progetto del regista e presidente dell’Associazione Culturale Querelle, Vincenzo Tripodo, dal docente dell’Università peloritana, Dario Tomasello e dal produttore e organizzatore teatrale-cinematografico, Gigi Spedale. E’ prodotto dall’Associazione Querelle e da Esperidio il cui direttore artistico e fondatore è, dal 2006, lo stesso Pirrotta. La scenografia è di Emanuele Luzzati. A firmare le musiche Mario Spolidoro che le ha eseguite dal vivo, regalando un tocco di magia in più alla pièce.

Il testo di “N’GNANZOU’” si dispiega come una colonna sonora perché scandita dal     “cunto”, tecnica vocale che utilizza ritmi arcaici e che, nella drammaturgia contemporanea, serve a frammentare il racconto in tanti colori. Il lavoro di ricerca, svolto da Pirrotta e iniziato nel 1996, incarna i tonnaroti e i ‘raisi’ di Favignana e di Trapani, l’habitat marinaro e, soprattutto, i costumi di folclore e dolore della “mattanza”.

Lo scrittore qui veste i panni di un “Raisi” ovvero il capopesca della tonnara, che racconta la sua storia e quella sua “attività” così controversa al “muciariotu” o tonnaroto. Pirrotta ha conosciuto davvero questo suggestivo personaggio di Favignana, Mommo Solina, che “creava quel grande mare di porpora”, uccideva i tonni e, allo stesso tempo, ne aveva rispetto. Dalla visione teatrale, la natura e i “sacerdoti” di quel rito acquistano sacralità, addirittura, attraverso l’azione cruenta. Si accende della pietà quando il “Raisi” dice: “Lu tonnu mi talia con quegli occhi di lacrime”; oppure quando chiama i pesci “mischini”, andando a “marturiarli”. Uno degli elementi essenziali “in scena” è la “muciara”, l’imbarcazione del “Raisi”, che si prepara alla “mattanza” ed è governata dal tonnaroto. Solo che la “muciara” non è realmente sul palco ma viene materializzata dall’attore con le sue possenti movenze e la sua sbalorditiva padronanza vocale. Al “cunto” si mescolano, come un mare in tempesta, le “Cialome”, canti più aspri che servono ad esortare le manovre dei lavoratori. Pirrotta interpreta da solo intensamente “a iamola”, una sorta di nenia tramandata di padre in figlio che raffigura la fatica di 40 persone e che, nella tradizione, accompagna il “vasceddu di livanti” a mettersi a quadrato con le altre tre barche e a formare la “cammira della morte”. L’autore poliedrico inonda e tramortisce le parole con tutta la sua energia fisica e con quell’emozione sempre nuova che è il “cunto”. Poi, le fa riemergere con sussulti di poesia ma anche di comicità. “Il racconto può essere solo suono – puntualizza Pirrotta. Sporcare la voce può rinvigorire il testo.” E lui crea, articola e riproduce i suoni del mare mostrandoci quello che accade in quel momento. C’è l’“isata du coppu”, la rete da cui affiorano i tonni. Ma soprattutto, c’è “N’Gnanzoù”, che in arabo significa “Forza” e che incita i pescatori prima ad arpionare i tonni, poi a ritirare le reti.

Il carismatico Pirrotta risveglia gioie e paure della popolazione dei tonnaroti ma riflette sulla magnificenza della natura che, a volte, si rivela inesorabile. Un’incredibile prova d’artista che si arricchisce dei suoi studi antropologi per potenziare la sua forza espressiva e descrittiva. Riesce a fotografare la tenerezza dei delfini che aspettano il loro compagno rimasto impigliato tra le reti e riesce a farci ascoltare il passaggio dei tonni dall’oceano al Mediterraneo per la stagione dell’amore.

“N’GNANZOU’” fa parte della trilogia “I tesori della Zisa” che include i testi: “La fuga di Enea” e “La morte di Giufà”.

Pirrotta è stato allievo del maestro Mimmo Cuticchio e si è diplomato alla scuola di teatro dell’ I.N.D.A. (Istituto Nazionale del Dramma Antico). Ha collaborato con importanti registi quali Giancarlo Sbragia, Gabriele Lavia e Mario Martone. Ha una spiccata inclinazione verso le opere classiche come conferma il suo contributo, dal 1990 al 1996, al ciclo di spettacoli realizzati al teatro Greco di Siracusa; la regia e la traduzione delle “Eumenidi” di Eschilo per la biennale di Venezia 2004; la scrittura a quattro mani con Peppe Lanzetta “Malaluna” (premio E.T.I. olimpici del teatro 2004) che analizza le città di Palermo e Napoli, ospite di numerosi teatri stabili d’innovazione.

Ha diretto – per L’istituto nazionale del dramma antico – “U Ciclopu” di Euripide nella traduzione di Pirandello, per cui ha vinto il premio dell’associazione nazionale critici di teatro quale Miglior Spettacolo del 2005. Ha diretto per il teatro di Roma “La sagra del signore della nave” di Pirandello, dove inserisce le arcaiche pratiche mediterranee e per il quale ha ricevuto il premio Golden Graal come Miglior Regista della stagione 2005-2006, finalista ai premi E.T.I. come Migliore Spettacolo d’Innovazione e finalista ai premi U.B.U. 2006 come Migliore Regia.

I suoi spettacoli teatrali sono stati accolti nei maggiori teatri e Festivals Europei (Francia, Belgio, Spagna, Grecia, Germania, Portogallo, Malta, Inghilterra, Montenegro).

Pirrotta, in occasione dell’appuntamento di Messina, ha dialogato all’incontro PRIMA DELLA PRIMA con gli studenti del Dams e gli allievi dell’ActorGym. Mentre Andrea Porcheddu, critico ospite dello serata, ha tenuto, l’indomani, un seminario agli studenti universitari, all’interno del laboratorio di critica, curato da Vincenza Di Vita.

 

 

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