Beatrice Monroy racconta le sue “Memorie parziali di bambina”


Unica donna finalista al premio Strega 2014, con il suo ultimo libro “Oltre Il vasto Oceano. Memorie parziali di Bambina” (ed. Avagliano, 2013), che ha già vinto il premio letterario “Kaos: Festival dell’editoria, della legalità e dell’identità siciliana” 2014, Beatrice Monroy è una palermitana cittadina del mondo. Narratrice, drammaturga, autrice di testi per la radio (ha collaborato con Radio Rai1 e Radio Rai3), guida di laboratori di scrittura e narrativa in giro per l’Italia, Beatrice ha un’attenzione particolare per l’universo femminile, per la condizione della donna in Sicilia (ricordiamo i suoi “Elegia delle donne morte”, 2011, Navarra editore, sulle donne di mafia e “Niente ci fu” , 2012, 2011, Navarra editore, sulle donne di mafia) e per la marginalità da riscoprire come risorsa oltre che come limite.

“Oltre il vasto oceano” è un libro  che raccoglie le memorie di una famiglia palermitana nobile le cui vicende si snodano attraverso secoli e lungo diverse storie. Alla più piccola tra le tre figlie di una coppia di scienziati sempre in viaggio per motivi di studio viene affidato il compito di comporre il disegno di queste memorie collettive, raccolte in appunti, in ricordi ed in storie narrate oralmente nel grande cerchio familiare.

Memorie di Bambina è il sottotitolo: cosa si intende? Perché sono memorie collocate in un momento preciso della sua vita, l’infanzia? Eppure il libro sgorga in età matura…

“Mi importava lo sguardo della bambina che si trovava a vivere, spesso con una certa confusione, una vita diversa dai suoi coetanei e anche mi importava raccontare un certo periodo, gli anni ‘60 e ‘70”.

Il ritmo del libro è quello delle storie orali, di un modo di narrare che segue un tempo ciclico, in cui tante storie si aprono e poi alcune ritornano e il tempo lineare della storia perde consistenza. Una modalità che lega il suo romanzo alla cultura mediterranea…  sebbene la protagonista sia apolide..

No, io non sono apolide, sono una donna del Mediterraneo che ha vissuto in tanti posti, ma fondamentale per me è la nostra cultura, una cultura che come ha detto Braudel si sposta  con il piccolo cabotaggio, una riva e poi un’altra riva, una circolarità dovuta alla nostra condizione geografica e che rimane necessaria nel modo di scrivere”.

La memoria costruita nel gioco tra l’oblio, i ricordi propri e altrui e la finzione: giocano un ruolo consapevole in questo libro?

“Certo, ho costruito con precisione un miscuglio tra realtà e finzione, non ero interessata a fare un romanzo storico ma un romanzo del mito, del sogno, dello sguardo che sta dentro di noi”.

Una storia familiare che diventa un’occasione per raccontare Palermo, che rapporto ha con questa città? E quanto la storia di una famiglia così speciale può diventare emblematica di una città?

“Io sono palermitana, con tutto quello che comporta, per generazione ho vissuto i grandi e drammatici anni delle stragi, ho vissuto la speranza e la disperazione. E’ lo scenario  centrale della mia creatività, l’unica cosa che veramente m’interessa raccontare e forse l’unica cosa che so raccontare. La mia famiglia ha attraversato, il potere e la scienza di questa città per ben quattrocento anni, mi è sembrata un’ottima occasione….”

Quali tra i diversi personaggi femminili, che a volte assumono un tono corale, indicherebbe come figure simboliche di una condizione della donna?

“Non so, tutte quelle donne che mi hanno preceduto sono un pezzo di me, un pezzo di una riflessione sulla condizione della donna, alcune sono vitali, come Aurora e Marianna e mia madre, altre come mia nonna, Cornelia, sono sprofondate nel buio. Mi riconosco in tutte e riconosco in tutte il presente così difficile di noi donne italiane”.

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