Corrado Fortuna: “Palermo città contraddittoria…Falcone e Buscetta giocavano insieme”


corrado fortuna
L'attore-scrittore Corrado Fortuna

L’attore Corrado Fortuna esordisce come scrittore con un giallo dal tono leggero, ma dal contenuto profondo. Il libro s’intitola Un giorno sarai un posto bellissimo, edito da Baldini&Castoldi. L’io-narrante del giovane protagonista, Arturo, prende per mano il lettore e lo conduce in una Palermo piena di contraddizioni. Arturo è amico di Lorenzo, il figlio di un boss mafioso. Allo stesso tempo, i suoi genitori sono amici di Falcone, che partecipa alla festa di compleanno di Arturo. L’opera prima di Fortuna racconta come la mafia possa sfiorare la vita di una famiglia onesta e borghese, che non rinuncia ai sani princìpi, ma inconsapevolmente frequenta personaggi invischiati nel malaffare. Omicidi e illegalità vengono visti dagli occhi di un giovane adolescente, che nella sua incoscienza, strappa al lettore una risata che però lascia l’amaro in bocca. Abbiamo intervistato Corrado Fortuna, che con emozione da scrittore esordiente ci ha raccontato del libro e con simpatia e sensibilità anche di sé e del suo lavoro, della sua Palermo, del cinema al tempo della crisi e dei suoi prossimi impegni. Lo vedremo presto in TV e al cinema.

L’intervista a Corrado Fortuna

Per quale motivo, lei che è un attore, ha deciso di scrivere un libro?

“Scrivo già da tempo. Mi sono dedicato maggiormente alla scrittura cinematografica, per sceneggiature, soggetti, cortometraggi e documentari. Scrivere è sempre stata una grande passione. Il libro l’ho cominciato già da qualche hanno, ma una sorta di pudore non mi permetteva di presentarlo ad una casa editrice. Il romanzo è scritto in prima persona e questo mi ha dato la possibilità di creare dei monologhi che ho portato in giro nei teatri off e nelle cantine, soprattutto romane. Il monologo è poi arrivato a Michele Dalai, il mio editore che mi ha convinto a pubblicarlo. Ho realizzato uno dei sogni più grandi della mia vita. Adesso, non voglio smettere più di scrivere”.

 

Il suo romanzo è un giallo, scritto in tono leggero, che parla della mafia vista da un ragazzino degli anni ’90. Quando lei, che è palermitano, ha preso coscienza dell’esistenza dalla mafia?

“Più che la mafia, ho voluto raccontare come questa ti può sfiorare vivendoci accanto. Ho avuto coscienza della mafia nell’anno delle bombe, quando ero un adolescente. Il ’92 ha cambiato la mia vita e quelle di un’intera generazione. Esiste un non costituito gruppo ’92, una generazione che è stata segnata per la vita”.

 

Il protagonista è di Palermo, è un attore ed è alto e magro, come lei. Cosa c’è in realtà di personale?

“Tanto. Il superamento di un amore che ha spezzato il cuore, un’amicizia fraterna, il mio rapporto con Palermo. Ho scelto che Arturo, il protagonista, fosse un attore per comodità nello sviluppo della trama”.

 

In queste pagine, si parla dell’amicizia fra Arturo e Lorenzo, il figlio di un boss mafioso. Oggi, può esistere l’amicizia tra un onesto e un mafioso?

“L’amicizia fra due bambini è pura. Non può essere condizionata da fattori come questo. Sicuramente oggi non è accettabile una presunta inconsapevolezza, il far finta di non sapere o di non vedere. Abbiamo capito e abbiamo aperto gli occhi. Condivido molto la lettera di Borsellino in cui si dice che un palermitano bene per ritenersi estraneo alla mafia, deve rinunciare alla frequentazione di certi locali, di certe persone. È una presa di posizione dura e dolorosa, ma non si può non essere d’accordo. A Palermo non crediamo più alla scusa che uomini politici frequentassero determinate persone perché non sapessero chi fossero in realtà”.

Perché la scelta di descrivere un boss mafioso con un aspetto umano?

“Innanzitutto, per un esercizio di scrittura. Cercare di umanizzare il cattivo ti dà la possibilità di dargli una dimensione tridimensionale, altrimenti sarebbe un personaggio piatto. Ricordo che Falcone diceva che i mafiosi sono esseri umani e come tali ci sono quelli più simpatici o antipatici. Per quanto possa sembrare una cosa assurda, un uomo che compie gesti efferati, come sciogliere i bambini nell’acido, resta sempre un essere umano”.

Il libro è ricco di contraddizioni come invitare alla festa di compleanno Falcone ed essere amico del figlio di un boss.

“Palermo è così, una città contraddittoria. Falcone e Buscetta giocavano insieme da bambini. Questa è forse la natura reale di questa città”.

Nella pagina dei ringraziamenti, tra gli altri, cita PIF. Lo abbiamo intervistato per l’uscita del film “La mafia uccide solo d’estate”. Ci sono delle somiglianze col suo lavoro, ad esempio lo stesso nome del protagonista, la scelta di parlare di mafia da dietro lo sguardo di un ragazzino. Perché?

“Siamo amici da tempo e anche lui fa parte della generazione del ’92. Il fatto che due personalità del mondo dello spettacolo, quasi coetanei, della stessa città, decidano entrambi di raccontare quegli anni, non lo trovo molto strano. Anzi spero di leggere altri libri o film sull’argomento. Il nome del protagonista dipende da una pura casualità. L’ho chiamato Arturo, come mio nipote”.

Come vede la Palermo di oggi?

“Peggiorata, depressa. La primavera palermitana è durata proprio il tempo di una primavera. I palermitani si sono rassegnati ad una normalità che non è normale. Ho trovato i miei concittadini inconsapevolmente tristi. Vivere in una città che puzza, dove l’inciviltà è padrona, dove c’è prepotenza… mi fa pensare che si siano dimenticati dei loro eroi. È un rapporto di amore e contraddizione, non di odio. È come un amore non corrisposto, che fa soffrire”.

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