Leo Gullotta: “Il governo precedente ha dato modelli sbagliati”


A poche ore dal debutto della Commedia di William Shakespeare, Le Allegre Comari di Windsor, al Teatro Stabile di Catania, incontriamo Leo Gullotta attore protagonista della fortunata edizione, giunta alla seconda stagione, firmata da Fabio Grossi e Simonetta Traversetti. Chiaccherando,  davanti ad un dolce e ad un buona cioccolata siciliana, spostiamo le lancette dell’orologio indietro di parecchi anni e conosciamo il lato più intimo del noto attore catanese, spaziando dai ricordi d’infanzia sino ad arrivare ai nostri giorni. Scopriamo un Gullotta emozionato ed emozionante, completamente diverso dal personaggio che siamo abituati a vedere;  un uomo timido, molto severo con  se stesso e disponibilissimo con gli altri.  Uno spirito curioso e fanciullesco che si anima per ciò in cui crede e  si  commuove pensando alla sua infanzia.

“Le Allegre Comari di Windsor” di Shakespeare, sarà rappresentata allo Stabile di Catania. Una commedia attuale per il tema trattato e per le caratteristiche dei personaggi. La correlazione con i nostri attuali temi sociali è facile, oserei dire naturale. La struttura originale voluta dall’autore è rispettata, ma quali sono le novità apportate al suo personaggio, Sir John, e all’ Opera?

“Il Testo, l’Opera vengono offerti e rappresentati al pubblico nella sua autenticità. Andare in scena, oggi, con ben diciassette attori, con costumi importanti e scenografie particolarissime, in una società che non rispetta la cultura premurandosi di fare tagli insensati all’Arte e all’Informazione, è un contributo, un gesto importante per il pubblico. Finalmente il pubblico sta ritornando a Teatro copiosamente,  sta riscoprendo la qualità, la professionalità, il piacere dell’occhio e dell’orecchio e quando trova progetti validi è contento. Le novità sono tante, due sono quelle fondamentali. La commedia segue la linea dell’Opera Buffa voluta da Shakespeare  consentendo di esprimere in modo chiaro il volere dell’autore dando la soluzione di ciò che è successo o di quello che sta accadendo correlato nella nostra società. Un’altra novità è il protagonista. Tutte le precedenti edizioni si sono fregiate di attori di un “certo peso” come Gino Cervi, Tino Buazzelli, Renzo Palmer che avevano il phisique du role per impersonare, perfettamente, il grosso, grasso cavaliere Falstaff  voluttuoso della vita e delle circostanze. Io ho costruito questo personaggio; in scena faccio esattamente il mio lavoro. Interpreto,  per la prima volta qualcosa lontano da me, con un fisico normale, un uomo di cento ottanta chili. Indosso un costume  di ben trenta chili. La novità si esprime anche nell’interpretazione di un “attore normale”, senza phisique du role, che costruisce passo dopo passo la realizzazione di un personaggio come Falstaff”.

 


Lo spettacolo è inserito nel cartellone dello Stabile, quest’anno dedicato alle donne. Lei è cresciuto circondato da donne; il nostro è un magazine che strizza l’occhio al mondo femminile, cosa ne pensa del ruolo della donna oggi?

“Io sono l’ultimo di sei figli; fino ai nove – dieci anni sono stato circondato da moltissime mamme, ovvero le mie sorelle. Ho trascorso un infanzia ricca di coccole,  attenzioni e  protezioni. La donna si è giustamente evoluta e come ne “Le Allegre Comari di Windsor” è sempre stata un passo avanti. È un segnale molto forte che autori importanti come   Shakespeare o Pirandello abbiano compreso il grande potere delle donne. La donna, oggi, fuori dalla rappresentazione teatrale o cinematografica fa paura all’uomo, perché è lei la padrona assoluta della scena. La famiglia, da sempre, in Sicilia o al Sud in genere, nonostante il maschilismo dominante del novecento, era gestita dalla donna. Questa società ha prodotto una guerra tra i sessi, per la lotta al potere, creando modelli sbagliati o troppo al limite, senza capire che il potere si può condividere. Ci sono donne meravigliose che hanno assunto ruoli importanti nella società come Rita Levi Montalcini scegliendo il lato positivo di quest’evoluzione. Il governo precedente ha distrutto generazioni di giovani dando loro dei modelli sbagliati da seguire. La donna del Sud, a differenza di qualche modello del nord, ha la capacità di saper sorridere di più, forse, perché chi nasce al sole ha uno scatto diversificato o gioioso verso la vita”.

Lei ritorna volentieri a Catania, sua città d’origine; il suo quartiere, ricco di colori tipicamente catanesi, quanto è cambiato rispetto ai suoi ricordi di ragazzo? C’è qualcosa a cui non può rinunciare quando torna a Catania?

“Io, purtroppo, non torno spesso a Catania, ma quando sono a casa sono felice. Le mie origini, le mie radici sono qui. Ogni angolo di strada è importante, il profumo della mia terra può essere paragonato all’ossigeno. Sento il bisogno naturale di rivedere alcuni luoghi particolari come un monumento, una strada. Quando ritorno passo sempre dalla mia zona di nascita, il Fortino. È rimasta pochissima gente di quei tempi, non c’è quasi più nessuno. Ma basta che riveda Ciccio, il verduraio di piazza Palestro per far rivivere la memoria e proiettare il film dei ricordi. Un quartiere fatto di gente semplice, generosa, aperta che lavora sorridendo nonostante i guai e i problemi sperando in un futuro migliore, diverso. Vedere la Porta Ferdinandea, luogo straordinario d’Arte, abbandonata e rinnovata solo per scopi politici non mi piace. Ci sono dei quartieri in cui c’è un maggior bisogno di assistenza fattiva come scuole, serate e incontri culturali per dare la possibilità di conoscere, sapere e allontanare i ragazzi dalla strada. Quando sono a Catania mi piace riscoprire non solo il mio quartiere, ma osservare le donne e gli uomini della mia città.  Mi piace guardare e constatare l’intelligenza brillante ed attiva del catanese che non si adagia sulla poltrona dei Vicerè, ma costruisce energicamente il proprio futuro. Adoro la forza di volontà e la gioia di vivere dei ragazzi nel promuovere con grinta e tenacia le proprie idee. Catania, il sud stanno crescendo ed è questo il sud che voglio e che deve essere conosciuto, quello ricco della voglia di vita dei giovani”.

Lei è uno dei più raffinati attori di Teatro e di Cinema; in TV l’abbiamo vista in tanti ruoli sia esilaranti sia drammatici. Da molti registi è scelto, spesso e volentieri, per ruoli drammatici di ampio respiro. Qual è il suo ruolo ideale?

“L’anno scorso ho festeggiato i miei cinquant’anni di Teatro, proprio allo Stabile di Catania.  Nella mia carriera ho imparato, prima di ogni altra cosa, che il lavoro è disciplina. Chi fa il mio mestiere deve conoscere tutti i linguaggi dello spettacolo, non deve essere superficiale sotto nessun aspetto. Il talento ha bisogno di allenamento; c’è una quantità necessaria di sacrifici che bisogna fare per affrontare la vita nel migliore dei modi. Lo studio serio è fondamentale. Nel mio lavoro sono molto critico e pretendo tantissimo. Nel Teatro non ci deve essere un ruolo preferito o un ruolo specifico. Si deve, sempre, saper far tutto. Non ci devono essere distinzioni. Le distinzioni che vengono inculcate ai giovani da certi stereotipi sono sbagliate e non portano a nulla”.

È vero che Giuseppe Tornatore, quando non era ancora Tornatore, le ha mandato diverse volte il copione de Il Camorrista per chiederle di interpretare quel film?

“Tornatore con Il Camorrista, tratto dal libro del giornalista del TG2, Joe Marrazzo, faceva conoscere la realtà raccontandola. Questo film divenne un Cult. Un giorno in Sicilia incontrai Tornatore che mi chiese come mai non avevo preso neanche in considerazione il suo copione. Io, veramente, non seppi nulla dell’ intenzione del regista. Accettai il copione senza leggere, mi fidai subito. Ovviamente presi i dovuti provvedimenti con chi curava il mio lavoro allontanandolo, seduta stante,  dall’incarico che ricopriva in malo modo”.

Le scuole di Teatro, oggi, propinano solo primi attori. I caratteri, anima fondamentale del Teatro, non esistono più. Cosa ne pensa di tutto ciò?

“Le scuole di Teatro, nella maggior parte dei casi, non propinano proprio nulla. Le sovvenzioni di alcuni Comuni o Regioni hanno permesso la sopravvivenza di queste scuole e dei loro titolari, senza avere le basi per insegnare qualcosa. Le scuole serie non vogliono soldi, non si pagano i corsi. Ci sono gli insegnanti veri  e si entra a far parte di questo mondo solo tramite esami, tanto studio e tanti sacrifici. Le scuole dove si paga non servono a niente, sono solo un modo per spillare soldi a dei giovani sognatori”.

Finita la fatica teatrale che impegni lavorativi l’attendono?

“Le Allegre Comari di Windsor” è uno spettacolo prodotto dal Teatro Eliseo di Roma. Il Teatro prende molto tempo, il pubblico ha bisogno di riflettere e capire. Scegliendo il lavoro teatrale, probabilmente, mi sento più utile. Ci sono progetti cinematografici importanti; ho prodotto un documentario che ha partecipato al Festival del Cinema di Roma  con tantissimo successo sul periodo de “ I Telefoni Bianchi”. Il tema della memoria è un tema che m’interessa e m’incuriosisce molto. Un cortometraggio montato, diretto da Mimmo Verdesca con una bellissima intervista a Lilia Silvi, diva di quegli anni. Io credo nei giovani e nel loro potenziale e sono felice di aver dato la possibilità ad un giovane promettente di poter andare avanti”.  

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