Lina Maria Ugolini: La schiavitù dei ragazzi di oggi è Internet


lina maria ugolini
La scrittirce Lina Maria Ugolini

Jamil è costretto a diventare adulto troppo presto, venduto dai genitori per diventare uno dei tanti schiavi del cotone nei campi della Mezzaluna, in Egitto: è lui il protagonista di Jamil e la nuvola, il nuovo romanzo per ragazzi di Lina Maria Ugolini, pubblicato da Splēn edizioni, la giovane casa editrice e associazione culturale di Viagrande (Ct) fondata da Surya Amarù. Personaggio letterario eppure drammaticamente reale, come furono Ciaula di Pirandello e il verghiano Rosso Malpelo, in tempi in cui era la Sicilia a offrire storie di degrado e disperazione, Jamil ha però un’arma segreta. Tra notte e sogno il piccolo egiziano vede l’impalpabile: la fantasia diventa così la sua migliore alleata per salvare se stesso e alleviare un giogo altrimenti insopportabile. Il libro di Lina Maria Ugolini, con cui Splēn inaugura la collana di libri per ragazzi I Capodogli, sarà presentato dall’autrice sabato 27 febbraio alle ore 18 al Piccolo Teatro di via Ciccaglione 29, a Catania.

Intervista a Lina Maria Ugolini

Da dove nasce l’idea e l’esigenza di scrivere Jamil e la nuvola?

“Mi capitò qualche tempo fa di sfogliare un Magazine del Corriere della Sera, uscito il 5 Settembre 2008. In quel giornale c’era un servizio dedicato ai bambini egiziani schiavi del cotone. In quelle pagine ho incontrato due grandi occhi con una mosca come lacrima che hanno incontrato a loro volta la mia penna. Quegli occhi tenevano tra le mani una piccola nuvola. A quegli occhi ho pensato di dare il nome di Jamil. Tuttavia, come per ogni altro romanzo che ho scritto, tutto scatta dal desiderio della scrittura. Dal moto scatenato da questo desiderare nasce la creazione della storia e del linguaggio. Se non si desidera profondamente l’espressione di un’idea, di un tema, il romanzo che seguirà non sarà mai autentico. Nel 2008, ho scritto di Jamil di getto, sui miei quaderni, con la mia stilografica. Scrivo sempre così: l’inchiostro che si consuma scandisce il tempo dedicato alla scrittura. Tempo reale, vissuto. Il problema di molti scrittori d’oggi è il computer: rende tutto più veloce, automatico, immediato. Si annullano il tempo e l’immaginazione. Questa mancanza d’immaginazione è deleteria ed è spesso causata dalle possibilità che ai nostri tempi offrono la tecnologia, internet, gli smart-phone, che considero la nuova forma di schiavitù dei nostri ragazzi. Non a caso rappresento l’Immaginazione come fonte di salvezza per Jamil.  Per affrontare il dolore e le difficoltà, quando si è da soli, l’unica soluzione è rifugiarsi in un mondo diverso, in un universo fantastico.

Jamil è un libro per ragazzi ma affronta una tematica molto cruda e dolorosa. Come sei riuscita a raccontarlo?

Lina Maria Ugolini
Lina Maria Ugolini

Il tema del dolore, è uno di quelli che amo trattare. Non ha soluzione, e quando accade ad un bambino, tutto diventa più tragico. In realtà, e questo non vale solo per i libri per ragazzi, esistono solo due modi per narrare qualsiasi storia di dolore. Si può utilizzare un linguaggio crudo e vero, ma questo dovrebbe già farlo la cronaca, e ci circonda purtroppo quotidianamente, perdendo anche d’efficacia; oppure si ricorre alla creazione di un forte contrasto per mettere ancora di più in risalto e in rilievo il dolore. Il mio romanzo è scandito da tre diverse voci. Vi è quella sgrammaticata, ingenua e semplice di Jamil che racconta tutto con gli occhi di un ragazzo, quella oggettiva del narratore, e quella tipica del linguaggio delle fiabe che si contrappone alla realtà. Questo contrasto, come mi insegna il teatro, è necessario per far emergere il senso della narrazione e ancor più del dolore. Per intenderci, la semplicità disarmante con cui Jamil descrive la morte dei bambini avvelenati dalle sostanze usate nei campi di cotone: “un sacco raccoglie uno di noi. Non siamo più noi a raccogliere cotone ma il campo a raccogliere noi”, risulta ben più tragica di atroci particolari descrizioni. L’insieme è amplificato dal contrasto e dalla scansione del ritmo, invece, incalzante della narrazione orale che segue lo stile orientale delle Mille e Una notte, tipico dei capitoli favolistici. Come insegnano i greci, tra l’altro, che affidavano la rappresentazione dell’evento tragico al racconto del servo che entrava in scena e mai alla messa in scena diretta, l’occultamento e la suggestione delle parole che narrano le atrocità rendono ancor più straziante il momento di dolore, poiché accompagnano e stimolano il processo immaginifico della nostra mente.

Quanto è importante per te, esperta, appassionata e insegnante di musica, la musicalità della narrazione nei romanzi?

“Il ritmo e la musica che creano e accompagnano il senso della narrazione sono fondamentali. Il senso della narrazione è fulcro il perno e l’essenza di un romanzo; purtroppo non tutti gli scrittori lo posseggono. Mi riferisco a quell’incantamento della storia, quel senso tangibile che cattura, a quella sensualità delle parole che ammalia e che si percepisce fin dai primi 4 righi di un romanzo. Ogni libro che scrivo è diverso dall’altro proprio per questo. Ognuno di essi è caratterizzato da un senso della narrazione unico”.

Com’è avvenuto l’incontro con la nuova casa editrice Splēn?

“E’ stata Surya Amarù a cercarmi. Un piacevolissimo incontro. Lei è prima di tutto, come me, un’accanita lettrice. Ama il suo lavoro e ha coltivato un’esperienza da editor e da libraia incredibile. Voglio appoggiare il suo lavoro perché lo fa prima di tutto per amore, e perché crede nei libri che pubblica. Lo stesso vale per me. Per questo Jamil tutti i diritti i miei diritti d’autrice e parte del ricavato dell’editore saranno devoluti in beneficenza per sostenere un’adozione a distanza. Non avrei potuto scrivere un libro del genere e poi restare indifferente, un gesto concreto andava fatto”.

 

 

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