Tizian: “Non sono un eroe, faccio solo il mio lavoro”


La sua è una storia di dolore, di un gravissimo lutto familiare: il padre vittima dei killer della ‘ndrangheta. Una storia simile a quella di Claudio Fava e di Dario Montana, seduti alla sua destra, nell’elegante, affrescata aula magna di Scienze Politiche, in via Vittorio Emanuele, a Catania. A sinistra la professoressa Francesca Longo e Ivan Lo Bello, incollato al cellulare. La manifestazione di protesta contro il governo regionale annunciata dal leader degli industriali siciliani e apostolo della religione della legalità ha scatenato i mass media.
Lui, Giovanni Tizian, calabrese di Bovalino, giornalista scomodo, col vizio dell’inchiesta, recita la sua parte senza protagonismo, non cadendo nella sindrome del figlio dell’eroe. Il suo libro “Gotica, ‘ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea” non è biografico, ma è “un esempio di giornalismo”, come sottolinea Claudio Fava.

Ha conosciuto di persona la ferocia della ‘ndrangheta, ne descrive gli affari illeciti, vive da anni con la scorta perché dà fastidio alle mafie del Nord. È un eroe, si considera tale? 

“Non sono un eroe, né mi ritengo un modello da imitare. Faccio semplicemente il mio lavoro, che ha anche una rilevanza sociale, perché le nostre inchieste danno la possibilità di leggere una realtà che è diversa da quella che appare. Sono tanti altri i colleghi minacciati, spesso vittime di aggressioni psicologiche e fisiche. Noi scriviamo, denunciamo i fatti, poi dovrebbe essere la politica a riflettere, a valutare e intervenire, ma questo meccanismo, purtroppo, s’inceppa e non va oltre i nostri articoli”.
Le mafie sparano di meno, ma agiscono di più sottotraccia. Potranno mai essere sconfitte?
“Se il problema si affronta in termini di ordine pubblico sicuramente no. Non si può pensare che sia mafioso solo chi spara o chi mette la bomba. Le attività mafiose sono ormai prevalentemente economiche e bisogna intervenire su questo fronte per disinnescare la strategia delle organizzazioni criminali”.
La mafia ha superato, come scrive nel libro, la linea Gotica, ormai è presente al Nord, come dimostrano recenti indagini, e lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose non è più una prerogativa delle regioni meridionali, ma si verifica anche a Bardonecchia, Bordighera, Ventimiglia. C’è questa consapevolezza al Nord, cioè che la criminalità organizzata si è infiltrata nelle attività economiche?
“No, ancora no. La società civile, l’associazionismo forse sì: denuncia, protesta, lancia segnali d’allarme. Ma nel mondo delle istituzioni, della politica, nell’imprenditoria il problema sembra non essere avvertito. Purtroppo il confine tra attività lecite e illecite è sempre più labile, individuare l’economia mafiosa da quella legale quasi impossibile. Le scommesse sono consentite dalla legge, ma se a gestirle è un mafioso la legalità non è assicurata, stesso discorso per le finanziarie e per le agenzie di recupero crediti.  Usura, estorsioni e riciclaggio possono  essere nascosti in modo pressoché invisibile. Al Sud, paradossalmente, siamo in grado di affrontare meglio questa realtà, abbiamo gli anticorpi, una presa di coscienza ormai ultradecennale, un crescente impegno della società civile. Al Nord, invece, manca ancora una matura presa di coscienza, le denunce sono pochissime, anche gli imprenditori onesti preferiscono tacere”.
Giovanni Tizian si congeda, la presentazione del libro deve iniziare davanti ad un’esigua rappresentanza della “società civile” catanese: un magistrato, qualche imprenditore, esponenti dell’associazionismo, studenti. La “primavera” è lontana.
Si replica, mercoledì 15, a Palermo.

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