Agrumi: succhi “Made in Sicily”, filiera in crisi


agrumi made in sicily

Agrumi “made in Sicily”, entra nel vivo in queste settimane la campagna agrumaria in Sicilia e la presidente del Distretto Agrumi di Sicilia, Federica Argentati, interviene sul tema dei succhi di agrumi “Made in Sicily” sollecitando vertici regionali e aziende di produzione e trasformazione a perfezionare l’Accordo Quadro siglato nel marzo 2014 con la Regione (Assessorato Agricoltura) sulla base della L.R. 12 maggio 2010 n. 11, a sostegno della filiera agrumicola siciliana per la valorizzazione di succhi di agrumi di qualità provenienti da colture dell’isola e dei relativi sottoprodotti derivanti dal processo di trasformazione (come il pastazzo).

“Dopo la firma di quell’Accordo quadro – spiega la Argentati – le aziende siciliane di produzione (produttori) e quelle di trasformazione (industriali) avrebbero dovuto confrontarsi e concordare qualità, quantità e prezzo degli agrumi da destinare alla produzione di succhi “Made in Sicily” con materie prime certificate – arance, limoni, pompelmi etc. – provenienti dalle campagne siciliane. Un accordo importante che, se opportunamente sviluppato, avrebbe garantito molteplici vantaggi per l’agrumicoltura siciliana, una delle voci più importanti del PIL isolano. Da un lato la possibilità per produttori e imprese siciliane di negoziare fra loro un prezzo congruo per le future campagne agrumarie; dall’altro la valorizzazione degli agrumi siciliani e dei succhi, prodotti di qualità dei quali è possibile seguire la tracciabilità di materie prime e dei loro derivati; quindi lo stop all’attuale deregulation che, di fatto, scontenta tutta la filiera. Senza contare il valore aggiunto, in termini di immagine del territorio siciliano che, con una produzione aggregata, si presenta compatto e competitivo sul mercato globale”.

Una deregulation che rischia di creare seri problemi sul fronte occupazionale. Spiega, preoccupato, Salvatore Imbesi, amministratore di Agrumi-Gel di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), una delle più attive aziende di trasformazione siciliane (25mln di fatturato nel 2014, 45 dipendenti e 20 nell’indotto): “Più volte, invano, ho sollevato il problema cercando di contribuire direttamente con azioni concrete. Evidentemente la questione viene sottovalutata o comunque non affrontata in maniera adeguata. Se le condizioni attuali permarranno sarò costretto a chiudere la mia impresa con ripercussioni negative sia sull’intera filiera sia sull’occupazione”.

Per la Argentati è paradossale che, a fronte di un contesto internazionale caratterizzato da una globalizzazione degli scambi commerciali, da una forte concorrenza delle produzioni estere, da problematiche ambientali e di supporto alla filiera in generale, in Sicilia ci sia una totale assenza di regolamentazione del comparto agrumicolo del prodotto trasformato che ha costretto tante piccole realtà a chiudere. “Senza accordi di filiera quadro – conferma Giuseppe Di Silvestro, presidente CIA Catania – con cui le imprese stabiliscano per un triennio prezzi, qualità e quantità del prodotto da destinare alla trasformazione, la Sicilia non riuscirà mai davvero a crescere. Se ne parla ma senza concretizzare risultati. Evidentemente alcuni preferiscono lasciare le cose come stanno nella paura di un cambiamento tanto necessario quanto possibile, almeno per la produzione”.

 

Articolo Precedente Alejandro Jodorowsky ospite del Teatro Stabile di Catania
Articolo Successivo Le serve, riuscitissima piece al teatro del Canovaccio

Scrivi un Commento

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *