Biologico. Sicuri che sia sempre di qualità?


Biologico. È un termine ormai entrato a far parte del linguaggio comune. Nel XXI secolo il biologico entra risoluto nella nostra vita quotidiana per simboleggiare un’esigenza che si fa sempre più insistente: conoscere ciò che si mangia e sapere chi sta dietro a un prodotto.
Spesso i prodotti che compriamo ci danno l’illusione di salute e benessere. Ma stiamo attenti ai cibi che restano belli per settimane!
Il biologico ha sicuramente i suoi benefici non soltanto per la nostra salute ma anche per la terra. Utilizzando, infatti, tecniche agricole che seguono le logiche della natura si diminuisce lo stress del terreno, delle piante e l’inquinamento delle acque.
Con le colture biologiche si preserva anche un aspetto culturale della nostra società contadina: la sapienza derivante da un continuo rapporto con la terra, ormai soppiantata dai vari prodotti chimici che distruggono la vita.
Nel mio lavoro mi sono trovato spesso a lavorare con prodotti non di stagione e assolutamente non biologici, per arrivare, dopo una presa di coscienza, alla loro eliminazione. La differenza è abissale.
Però dobbiamo fare attenzione: in quest’epoca di consumismo sarebbe meglio fare sempre un’analisi critica dei fenomeni che ci circondano. Il business è sempre in agguato così come il rischio di snaturare una filosofia tendenzialmente positiva.
Nel biologico la prima legge che ne stabilisce i parametri risale al 1991. Più recentemente la comunità europea ha emanato un Regolamento, era il 2007, al quale tutti gli stati membri dovevano far riferimento.
BiologicoIl Regolamento parlava di rispetto delle biodiversità, degli allevamenti biologici, di acquacoltura. Il testo, per dirla in estrema sintesi, descrive un mondo agricolo all’insegna del rispetto della terra.
Lo stato italiano si adeguò nel 2008 con una legge che abrogava parzialmente quella precedente ed in cui si stabilivano parametri precisi per l ‘agricoltura da certificarsi biologica.
Ma la legge italiana consente a un’azienda , pur in possesso di una certificazione biologica, di utilizzare prodotti chimici nel caso in cui ci fosse il rischio della perdita di una parte del raccolto. La normativa quindi c’è ma esistono anche le dovute deroghe che potrebbero permettere di aggirare il semplice principio di naturalezza.
Seguendo questo ragionamento si potrebbe anche dire che non sempre sotto l’etichetta di biologico si può affiancare la definizione di alta qualità.

Lo chef Francesco Zappalà ci parla di biologico
Lo chef Francesco Zappalà

Capisco adesso i miei amici contadini che non accettano di stare sotto questa definizione…
Da cuoco il consiglio che posso dare per la spesa è quello di fornirsi, dove è possibile, da coltivatori che si conoscono, cercare un fruttivendolo da riempire di domande, perché spesso un rapporto umano dà più garanzie di una sigla.

Scritto per Sicilia&Donna dallo chef Francesco Zappalà

 

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2 Commenti

  1. roberto pinton
    13 ottobre 2015
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    Attenzione: la normativa europea prevede sì che “in caso di determinazione di grave rischio per una coltura, l’uso di prodotti fitosanitari è ammesso”, ma con il non ininfluente dettaglio “solo se tali prodotti sono stati autorizzati per essere impiegati nella produzione biologica”.
    I mezzi tecnici ammessi per gli agricoltori biologici sono gli estratti dalle piante del neem, della quassia amara e del Chrysanthemum cinerariaefolium (una sorta di margheritina dai cui capolini essiccati e macinati si ricava un efficace insetticida naturale), la cera d’api, la lecitina, gli oli vegetali, i sali di rame (non più di 6 chili per anno su un ettaro), lo zolfo: tutte sostanze che nulla hanno a che fare con i 75 milioni di chili di anticrittogamici di sintesi, i 27 milioni di chili di diserbanti, i 25 milioni di chili di insetticidi e i 19 milioni di chili di altri pesticidi di sintesi sparsi in un anno sui campi italiani.

    Per favore, non mettiamo sullo stesso piano cera d’api, margheritine e DDT, altrimenti si fa disinformazione…

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