Reati depenalizzati? Ecco come stanno le cose


Reati depenalizzati. Sempre più spesso, cronaca e social network insistono su nuove decisioni legislative che “depenalizzerebbero” alcuni reati: lo stalking per esempio.
Ma è corretto il termine? Cosa è cambiato e perché il legislatore ha deciso di intervenire a riguardo? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Stefania La Porta.

Avvocato, si può parlare di “depenalizzazione”?

L'avvocato Stefania La Porta a cui Sicilia&Donna ha chiesto chiarimenti sui reati depenalizzati
L’avvocato Stefania La Porta

No affatto, il termine è tecnicamente errato. Con il decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015, dal 2 aprile è entrata in vigore una causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dal nuovo art. 131bis c.p. (codice penale). La nuova disposizione introdotta non dà vita ad alcuna forma di depenalizzazione. In altre parole il fatto che si definisce “non punibile” non assume alcuna rilevanza diversa come, invece, avviene nei fenomeni depenalizzanti; esso non diviene lecito, né tanto meno degrada a sanzione amministrativa, è reato e resta tale pur se non punibile.
Per fare un esempio concreto: il domicilio deve essere protetto anche se chi vi s’introduce clandestinamente lo fa una sola volta, per qualche minuto e senza provocare alcuna conseguenza, ma punirne la violazione con sanzione penale ex art. 614 c.p. (“violazione di domicilio”), potrebbe risultare incongruo. In altre parole, il ricorso all’apparato repressivo penale, in questi casi, finirebbe per risultare sproporzionato per eccesso.

Quali e quanti sono i reati in questione?
Parliamo di reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni e a quelli punibili con pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva.
La tenuità dell’offesa, che deve derivare dalla modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, valutate discrezionalmente dal Giudice, è requisito necessario ma non sufficiente per l’applicazione della causa di non punibilità descritta, occorre altresì, infatti, che il comportamento del reo non sia abituale.Per l’applicazione della causa di non punibilità, occorre che il comportamento del reo non sia abituale
Sul punto è rilevante notare che la norma definisce il comportamento dell’autore come “abituale”, escludendo, dunque, l’operatività della causa di non punibilità, anche nell’ipotesi in cui lo stesso abbia posto in essere reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Pertanto, reati quali lo stalking o i maltrattamenti in famiglia restano al di fuori dalla previsione normativa, attesa la natura “abituale” delle condotte che li connotano.
Ancora, l’art. 131bis c.p. dispone che il comportamento del reo è “abituale” nel caso in cui costui sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o quando abbia commesso reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità.
Con riferimento alla qualità dell’offesa, la stessa norma dispone che essa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa.
Un’espressa esclusione di operatività della causa di non punibilità è prevista per le ipotesi di omicidio colposo e lesioni colpose gravissimeInfine un’espressa esclusione di operatività della causa di non punibilità è prevista per le ipotesi di omicidio colposo e lesioni colpose gravissime.
Indicare numericamente i reati interessati dalla riforma è impresa ardua, visto che il codice penale contiene moltissimi reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni e che non abbiano natura “abituale”. Esemplificativamente si pensi alle lesioni personali lievi, alla violenza privata, alla violazione di domicilio, all’omissione di soccorso, all’abuso d’ufficio, alla resistenza ad un pubblico ufficiale, e tantissimi altri.

Cosa cambierà?
L’introduzione di tale causa di non punibilità porta con sé una serie di conseguenze tecniche di tipo procedurale. Alla declaratoria di non punibilità può procedersi infatti sia nel corso delle indagini preliminari, sia successivamente anche all’esito dello svolgimento del processo.
La riforma in parola aggiunge fra i casi di archiviazione anche l’ipotesi di non punibilità dell’indagato per particolare tenuità del fatto. Qualora il Pubblico Ministero ritiene di richiedere per tale ragione l’archiviazione deve avvisare di ciò sia la persona offesa che l’indagato, e ciò per consentire loro di proporre opposizione a tale richiesta indicandone le ragioni.
In tal modo si recupera in fase d’indagini una forma, a mio avviso, adeguata, di garanzia difensiva sia avvertita dalla persona offesa, che potrebbe, ad esempio, voler dimostrare che l’offesa ricevuta non è affatto tenue o che il comportamento delittuoso ha natura abituale, etc., che dallo stesso indagato. E’ a riguardo, infatti, da evidenziare che la declaratoria di non punibilità per tenuità del fatto non è affatto priva di conseguenze per quest’ultimo.
L’indagato che vede pronunciarsi nei suoi confronti decreto di archiviazione per particolare tenuità del fatto, è destinatario di un provvedimento che presuppone la sussistenza di un fatto di reato commesso anche se non punibile, ecco perché, quale conseguenza prevista dal d.lgs. n. 28/’15 tale decisone è iscritta nel casellario giudiziale e assume rilievo ai fini dell’apprezzamento dell’ “abitualità” del comportamento che per il futuro escluderebbe, come prescritto dalla legge, di poter di nuovo accedere al beneficio dell’applicazione della predetta causa di non punibilità. Inoltre, tale provvedimento, potrebbe avere rilievo per eventuali azioni disciplinari e/o giudizi contabili.
Con riferimento all’imputato, che vede pronunciarsi sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, il nuovo art. 651bis c.p.p. stabilisce l’efficacia di tale sentenza nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e risarcimento del danno. Assistiamo, anche in questo caso, ad una previsione di natura processuale che risponde all’esigenza di evitare un vuoto di tutela per la persona offesa, ancorché lievemente, dall’azione del reo, offrendole uno strumento sostitutivo.
La vittima, dunque, potrà “usare” il giudicato penale di proscioglimento per tenuità del fatto con riferimento all’accertamento della sussistenza del fatto di reato e alla sua ascrivibilità all’imputato sia nei giudizi civili che in quelli amministrativi per ottenere un adeguato risarcimento dei danni subiti.
Resta ferma per l’imputato, come per l’indagato, l’iscrizione nel casellario giudiziale della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto.

Cosa succede per lo stalking? E' nelal ista di reati depenalizzati?
Cosa succede per lo stalking?

Lo stalking, dicevamo, non è interessato dall’applicazione.
No. Certo è che mentre per lo stalking non residuano dubbi circa la non applicabilità del nuovo art. 131bis c.p., qualche dubbio, che il diritto vivente, quello che si consuma nelle aule di giustizia, dissiperà, può residuare circa la possibilità di escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto per alcuni delitti contro la famiglia quali la violazione degli obblighi di assistenza famigliare e l’abuso dei mezzi di correzione o disciplina.

Cosa dice il legislatore sul reato di stalking? E' tra i reati depenalizzati?
Cosa dice il legislatore sul reato di stalking?

Queste fattispecie, infatti, sono configurabili principalmente, ma non esclusivamente, con condotte plurime, abituali e reiterate, quindi nella maggioranza dei casi resteranno al di fuori dell’applicazione di tale causa di non punibilità, è bene ricordare però che nell’ipotesi in cui esse dovessero rientrarvi, come ribadito più volte, non vi si può esimere da una valutazione in termini di fatto offensivo minimo ed isolato e ciò per espressa previsione di legge.

Reati depenalizzati: quale futuro?

Perché questo passo indietro? Che scenari si prospettano?
Non direi che la riforma contenuta nel d.lgs. 28/’15 debba aprioristicamente definirsi “un passo indietro”. Quel che ha ispirato il legislatore nell’introdurre quale causa di non punibilità la particolare tenuità dell’offesa derivante dalla commissione di un fatto di reato è innanzitutto un’esigenza di deflazione processuale, cioè di alleggerimento del carico processuale, ed un maggior rispetto del principio di proporzione.
Mi spiego meglio, l’intento è, innanzitutto, quello di pervenire ad una rapida soluzione di quei procedimenti, ancor più efficace se interviene in fase d’indagini, che abbiano comportato per la vittima e, in genere, per il bene protetto dal reato un’offesa tenue, senza che però questo risultato rechi con sé un’inaccettabile rinuncia alla risposta sanzionatoria da parte dello Stato e all’esigenza di tutela della vittima.
Certo, è legittimo chiedersi: come conseguire tale risultato? In parte è la stessa riforma che ha comunque consegnato, come prima evidenziato, strumenti di tutela alla persona offesa che, rispetto all’esiguità del fatto subito, possono definirsi adeguati; per altro verso, quel che si auspica è che magistrati, avvocati, polizia giudiziaria applichino, chiedano di applicare o prospettino la causa di non punibilità in discorso in maniera ragionevole ed attenta, in altre parole deve essere, a mio avviso pretesa, un’adeguata motivazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti di legge applicativi.
Ancora, come detto, La volontà del legislatore nell’introdurre tale causa di non punibilità si è ispirata certamente al principio di proporzione che vuole evitare il dispendio di energie processuali per fatti c.d. “bagatellari”, dispendio che risulterebbe sproporzionato sia per l’ordinamento che per l’autore del fatto di reato di minima offesa.
E’ bene precisare che l’introduzione di una simile causa di non punibilità non è del tutto nuova nel nostro panorama ordinamentale, previsioni non così difformi si registrano sia nel processo minorile che nell’ambito del procedimento penale innanzi al giudice di pace e rispetto ad esse, non può dirsi che abbiano creato chissà quali vuoti di tutela o che abbiano destato preoccupanti cadute di sicurezza sociale, ecco perché ritengo che l’estensione al giudizio ordinario di una simile disciplina non arrecherà con sé gravi conseguenze in termini di negazione in genere di garanzie difensive.

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