Roberto Zappalà: Metto a nudo l’umanità tramite il movimento del corpo


Il coreografo Roberto Zappalà
Il coreografo Roberto Zappalà

Dopo il premio Danza&Danza 2010 come miglior produzione italiana con A semu tutti devoti tutti?, Roberto Zappalà e la sua compagnia di danza hanno da poco raddoppiato, grazie a una delle sue ultime creazioni, LA NONA (dal caos, il corpo), premiata anch’essa come miglior produzione dell’anno 2015. Direttore artistico e coreografo principale della compagnia Zappalà Danza, che ha fondato nel 1989 a Catania, Roberto Zappalà, instancabile fucina di idee, nutrito da un’insaziabile ricerca e curiosità per il mondo della danza e dell’arte, sta già lavorando ad I am beautiful, mentre la riuscitissima Nona attende di sbarcare al teatro Ponchielli di Cremona. Oggi la sua compagnia, con residenza a Scenario Pubblico, via Teatro Massimo 16 (CT), è una delle più importanti realtà di danza in Italia ed é regolarmente sostenuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali sin dal 1996 e dalla Regione Siciliana.

Intervista a Roberto Zappalà

Com’è stato vincere il premio come miglior produzione italiana per la seconda volta?

Sudvirus, spettacolo di Roberto Zappalà
Sudvirus, spettacolo di Roberto Zappalà

“E’ sempre emozionante ricevere un premio, qualsiasi esso sia, tuttavia in quest’occasione è stato parecchio gratificante, sia perché si tratta di un premio internazionale e perché ce lo siamo guadagnati una seconda volta, ma anche perché l’abbiamo ricevuto pure a nome del Teatro Bellini di Catania, dove la Nona ha debuttato. La collaborazione di una realtà così importante per Catania, che ha partecipato con il nostro progetto Transiti Humanitatis, ha avvalorato maggiormente il premio, considerato che la danza contemporanea ha debuttato proprio dentro il tempio lirico della nostra città. In generale il 2015 è stato un anno pregno d’emozioni, siamo stati infatti nominati Centro di Produzione Danza Nazionale, e ad oggi in Italia di questi centri ne esistono solo tre”.

Qual è il suo metodo? Cos’è per lei la danza?

“Il mio metodo parte sempre dal presupposto che io debba partire da qualcosa che non conosco bene. Non parlerei mai di mia madre, ad esempio, la conosco troppo bene. Mi piace invece parlare di argomenti che conosco di meno. Così posso cercare, ricercare, incuriosirmi, imparare. Ebbene, anche della danza io conosco ben poco. E’ così enorme quest’universo che c’è sempre qualcosa da scoprire. Quindi ho l’esigenza continua di confrontarmi in Italia e all’estero. In realtà sono un coreografo che torna al passato, alla vera coreografia, al movimento demografico, verso il ritorno al solo corpo. Lo sottolineo perché la danza, ormai da decenni, ha avuto un’emancipazione stratosferica che ha permesso una serie di infiltrazioni, dalle videoinstallazioni, dall’ elettronica agli effetti speciali. Noi invece abbiamo nuovamente scarnificato tutto, portato quest’arte all’essenza del corpo e del movimento, per raggiungere il vero valore specifico della danza. Questo processo, di ritorno forse ad un passato, è stata per me un’esigenza e una sfida: l’esigenza e la sfida di far tornare il corpo protagonista. Con la nostra danza inventiamo un linguaggio, un movimento, che è davvero difficile da comunicare. Non si tratta del classico balletto mimico, o della variazione che è pura tecnica. Noi cerchiamo di suggestionare attraverso il corpo e sono consapevole che questo modo di fare arte, in confronto al teatro o al cinema ad esempio, non arriva con la stessa immediatezza. Tuttavia quando riesce a toccare, raggiunge il pubblico, in e con carne e ossa. Potentissimo”.

Quanto è stato difficile fare danza partendo da Catania e come è cambiato il pubblico in questi anni?

Roberto Zappalà
Roberto Zappalà

“Molta gente si lamenta ancora affermando di non capire la danza. Quando viene a vedere uno spettacolo, esce esclamando: “Non ho capito niente”. Quest’atteggiamento lo trovo assurdo. L’arte non si deve capire, quale arte viene capita in realtà? Neanche dopo aver visto una statua o un quadro si capisce esattamente cosa voglia dire o cosa abbia voluto trasmettere l’autore. Capire cosa, poi? Io sento che con la danza ho il compito di dover mettere a nudo l’umanità attraverso il corpo. Immaginate quindi quanto resti sconvolto di fronte all’indignazione della gente di fronte ad un nudo. L’arte mette a nudo l’umanità. Vorrei spiegare proprio questo. In I am beautiful, ad esempio, il significato drammaturgico è pari a zero, oltre l’espressione della la bellezza in sé. Il pubblico di Catania, in quest’anni è cambiato molto, non è ancora avanti rispetto a fuori, ma è tuttavia maturo. Forse molta parte del pubblico, soprattutto quell’anziano, resta arroccato all’idea più tradizionale di lirica, ad esempio, tende ad appoggiarsi alle proprio conoscenze. A New York esiste un pubblico ultra –ottantenne che invece non vede l’ora di assistere a sperimentazioni e a novità.”

Come riesce un artista come lei, dopo 26 anni di carriera, a rinnovarsi continuamente e a proporre sempre idee originali?

Non lo so (ridendo). Spesso dico a mia moglie che sono stanco e lei sorridendo mi risponde: “la pensi così in questo momento, presto cambierai idea”. E in effetti sto già pensando ad altri progetti. Credo che tutto parta dall’idea di voler esprimere e comunicare qualcosa. Poi il fare è una vera fatica, tuttavia rimane forte l’esigenza di dire tramite la danza. Per fortuna in questi anni non ho mai fatto qualcosa di veramente brutto (ride), e la

DOMENICK GILIBERTO(C)
Instruments, di Roberto Zappalà. Foto DOMENICK GILIBERTO(C)

paura che questo possa accadere esiste. Quindi cerco di centellinare i miei progetti e le mie collaborazioni. Scelgo di impegnarmi solo in quelli in cui credo davvero. Non sono un coreografo bulimico che si lancia in ogni progetto pur di fare”.

 Come nasce un progetto? E quanto tempo ci vuole per finirlo?

Vorrei riuscire a dare risposte razionali ma non esiste razionalità nell’arte, e non dico ahimè ma per fortuna. Non solo i miei progetti durano di media anni, ma in realtà esiste un momento in cui questo nasce ma forse non esiste un momento in cui questo realmente finisce. Ad esempio, I am beautifil inizialmente doveva essere lo spettacolo conclusivo del progetto Transiti Humanitatis, in realtà non sarà più così. Ho già in mente un’altra tappa, e chissà se questa sarà la conclusiva. Tra l’altro l’umanità è così vasta, sarebbe riduttivo mettere dei limiti ad un progetto che si basa su di essa.

Le prime due tappe di Transiti Humanitatis sono dedicate alle donne, e alla prima donna, Eva. Perché?

Pensavo fosse giusto, trattando di umanità, iniziare proprio dalla prima donna. Avevo tra l’altro anche la figura giusta nella compagnia, Maud de la Purification, il racconto mi aveva affascinato e ancora una volta non mi sono basato solo su una scelta razionale. Ho ritenuto giusto utilizzare questa lente d’ingrandimento su una figura specifica e proseguire poi con la Nona, suggellando un senso d’umanità più ampio. La Nona, ad esempio, soprattutto in questa fase che stiamo vivendo, dovrebbe spingere alla ricerca della pace nella nostra Europa. Ai tempi in cui Beethoven la compose, l’idea d’Europa era di certo diversa, tuttavia l’inno alla gioia e i valori espressi si adattano benissimo alla nostra umanità.  Anche il senso di pura bellezza che voglio trasmettere con I am beautiful  è un valore umano. La bellezza fa parte dell’umanità.

 

 

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