Viaggio in Tanzania, la terra dei Masai


Tanzania. Foto Marco Gulino
Tanzania. Foto Marco Gulino

Quando si atterra nel buio denso dello Nyerere International Airport in Tanzania, sono sempre le tre, e il portello del volo Turkish si apre lasciando filtrare dentro la carlinga condizionata un

La mappa della Tanzania
La mappa della Tanzania

effetto forno aperto dopo la cottura di surgelati, e quell’odore selvatico che investe da subito qualunque passeggero, seguendolo per tutta l’esperienza africana: fuori un ciondolare inerte di tassisti e facchini non autorizzati, ma qui persino le zanzare non riescono ad essere aggressive, l’odore si fa ancora più intenso e si mescola con l’umido luminescente di Dar Es Salaam, diffranto contro un cielo petrolio.

Tanzania  Dar Es Salaam

Dar Es Salaam
Dar Es Salaam

  Dar Es Salaam è tentacolare, assurda, dissennata, milioni di persone e miliardi di automezzi, senza indicazioni stradali né ordine, semafori e segnali pleonastici, una palude di lamiere luccicanti e smog asfissiante e gente che cammina ovunque, senza un punto di partenza o di arrivo visibili a occhio nudo. Poche arterie a doppia carreggiata tra la polvere e i labirinti affollati, scoli a cielo aperto davanti a bancarelle colorate di tutto, risacche di pedoni e di ambulanti ai finestrini, il clamore assordante e un formichio di bambini in divisa verso chissà quale scuola.

Tanzania. Mercato. Foto Marco Gulino
Tanzania. Mercato. Foto Marco Gulino

White Sands si rema in pochi minuti verso Mbudya, un baobab con sabbia accecante intorno: qualcuno pesca del chango e lo cucina con le patate, non ci vogliono forchette in Africa, le mani sono più che sufficienti. Per raggiungere Bongoyo, invece, si parte dallo Slipway, altro villaggio americano: un quarto d’ora di navigazione a motore, un’isola oblunga, rocce e vegetazione tropicale, con quella lingua di insolente candore, ombrelloni di banano e conchiglie purissime. Barbecue e frutta, persino gente che ti serve con calma fin sotto l’ombra.

Tanzania Coco Beach

Tanzania. Coco beach
Tanzania. Coco beach

Per la verità, a poche centinaia di metri dalla residenza dell’ambasciatore italiano, ho scoperto anche Coco Beach: è la spiaggia dei tanzani, ci ho giocato a pallone con dei ragazzini che poi mi hanno offerto una canna da zucchero, e ho sorseggiato cocco non tanto fresco, ma d’altronde uno mzungu qualcosa deve pur aspettarselo: e un chiosco malmesso con pubblicità della Coca Cola, andirivieni di ragazzi e quel mare che scurisce col calare del sole, è l’ora di qualche ragazza a pagamento, non devo passare inosservato ma declino con ferma gentilezza.

Girare per Dar Es Salaam è perdersi senza scampo in ogni caso e poi dover chiedere ad ogni angolo: nonostante il mare accanto, riesco a perdere l’orientamento al primo bivio, incrocio, o curvone mancino, tra i grattacieli ultramoderni sopra il reticolato sghembo di viuzze sterrate, tra un fastello di case basse e sgorbie.

Tanzania Mwenge

img_0600 merita una visita a parte, il caotico mercato, il formicaio di botteghe asfittiche, i cunicoli oscuri, il traboccare di colori e di odori, mani e occhi e voci e oggetti e insetti, e chiasso da ogni angolo che diviene abitudine al brusio, si contratta su tutto, diviene gioco delle parti, recita senza pietà, ma è solo di spiccioli che in fondo si tratta.

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Foto Marco Gulino

Si va via che è quasi buio, conviene così, mangiare qualcosa e poi un sonno da interrompere per montare su una jeep, verso Iringa: 500 chilometri di una arteria sfiancata attraverso le budella dell’equatore, ma la vera impresa è uscire prima possibile dall’infinita periferia di Dar, quel rincorrersi di villaggi, di blocchi di polizia in uniforme bianca, di dossi artificiali e bancarelle d’ogni cosa, lembi smarginati di natura – troppa natura – che si estenua da un eccesso all’altro: confusione e poi deserto, distese assetate e foreste di baobab lungo corsi d’acqua limacciosi, babbuini sopra il guard-rail e assembramenti sotto l’ombra di mwarubaini, l’albero delle quaranta medicine, e nuvole pigre da chissà dove.

Spesso la prima sosta è a Chalinze, capanna alla buona con tè, chapati e sambusa, so già che a Morogoro non rinuncerò alle banane o a una sosta al villaggio svizzero, lì il caffè è davvero ottimo.

Poi si comincia a salire, la strada si inerpica e sembrano boschi, non è raro inchiodarsi dietro autoarticolati stracarichi di legname, e comunque i babbuini sui guard-rail vuol dire che siamo dentro il Mikumi, uno dei parchi tanzani, a guardare bene si scorgono giraffe mimetizzate, branchi di elefanti in lontananza e lo scorrazzare nervoso delle zebre: alberi spesso fioriti dai cui

Foto Marco Gulino
Foto Marco Gulino

rami dondolano kanga coloratissimi e stoffe povere per una sosta pret-a-porter.

Tanzania  Iringa Town

     Iringa Town è una cittadina viva e fresca, quasi dimenticata l’umidità asfissiante e adesiva di Dar Es Salaam, con quella

Foto Marco Gulino
Foto Marco Gulino
Foto Marco Gulino
Foto Marco Gulino

sensazione di malabolgia incessante e senza scampo. Qui è un altipiano, le mattine lasciano respirare e le serate trascorrono ariose e placide. Una pausa al mercato, guai a non sapere usare la fotocamera in maniera adeguata, le immagini bisogna rubarle con sangue freddo e faccia tosta, mi piace quel piccolo localino, quasi casalingo, di fronte alla agenzia di Beatrice, dove sfoglio un giornale assaggiando qualcosa di tipico, che certe volte non voglio nemmeno sapere cos’è.

Da Iringa ci si addentra nella savana, scollinando su una pista argillosa. Niente più asfalto, quindi, ci si avvicina al Ruaha National Park, il secondo parco per estensione della Tanzania, grande quasi quanto la Sicilia: senza recinti o limiti. Molti villaggi sono nascosti nella vegetazione fitta, sparute figure percorrono le strade, spesso donne con bambini in spalla, e i cento chilometri sono una variabile temporale, a seconda delle stagioni:

Foto Marco Gulino
Foto Marco Gulino

comunque mai meno di due ore e mezza. Il penultimo avamposto è Idodi, e ormai, prima di Mapogoro, si imbocca un sentiero accidentato: nuove capanne e terreni appena coltivati, una volta si arrivava alla missione salendo proprio da Mapogoro, si attraversava Kitanewa fino alla missione. Con le ultime piogge, dalle colline dei Mang’ati si è riversata giù nottetempo una alluvione devastante, un mare di fango e acqua ha scavato un alveo di sette metri, trascinando via le povere capanne raggrumate lungo il sentiero.

Così cambia la morfologia in Africa, dalla notte al mattino, e ciò che resta di questo stravolgimento naturale è un torrente, con dei tronchi per passare in equilibrio dall’altra parte, pochi bimbi ma felici di vedermi, un baobab che pare una cattedrale aggrappata coi basamenti alla sua zolla, baracche abbandonate e un nuovo silenzio.

Tanzania, la terra dei Masai

I Masai della missione si aggirano senza tempo, portano al collo dei crocifissi in pietra dura: il Safari insieme a loro è una esperienza

Tanzania, i Masai.
Tanzania, i Masai.

naturalistica impressionante. Laddove le guide ufficiali ed i rangers seguono piste battute e percorsi risaputi, i Masai morani percepiscono i movimenti di animali e di branchi quasi fiutando l’aria, osservando tutte le tracce, anche quelle invisibili, stormi in volo e odori lontani, alberi appena franti e fogliame smosso, aliti d’aria insoliti ed echi di qualche verso improvviso. E’ questo il senso di un ‘viaggio’ (e Safari proprio questo significa), quello di una esperienza nuova di vita.

La veranda di un lodge, nei pressi di Mapogoro, si presta alle rituali danze, e le donne Masai, in blu o in viola, cantilenano attese da corteggiamenti rituali e intrecciano andirivieni cadenzati, seduzioni e tentazioni con ardente remissività: e davanti a loro, sotto stelle argento, il fronte rosso scuro di uomini guerrieri,

Foto Marco Gulino
Foto Marco Gulino

quel muro alto e muscolare, i ritmi gutturali, quei cori sincopati ed ancestrali che ripercorrono vite animali nella savana, e i balzi, quei balzi: lineari e incessanti, spiccati contro il cielo in una continuità virile ed elegante, fibre d’ebano che si allungano e si sospendono nel chiarore lunare che solo in Africa sa essere così fosforescente.

Quando vado via da tutta quella incontaminata purezza, ho sempre la gola chiusa e nessuna parola vuole venire fuori, solo la speranza di un pronto ritorno può rimettermi sullo stesso nastro argilloso dell’andata, direzione Iringa Town, aeroporto per piccoli velivoli che, manco a dirlo, è intitolato a Nyerere, d’altronde come ogni grande cosa in Tanzania. Solo 180 dollari statunitensi ed un’ora e venti di volo fino a Dar Es Salaam, aeroporto internazionale Julius Nyerere (ma va?). Stavolta è Benson ad attendermi, ha un sorriso contagioso e sembra ascoltare musica anche mentre cammina, dinoccolato e sereno, e mi viene incontro tra una moltitudine di altra gente in attesa, pare gli stia girando qualcosa di Papa Wemba dentro alle orecchie, ci muoviamo verso Bagamoyo, bellissima località a un centinaio di chilometri a nord di Dar Es Salaam, ruderi antichi e distese di palmizi, intorno al villaggio e a venerare un mare così trasparente che il cielo sopra pare oscuro. Da lì partivano gli schiavi venduti, verso chissà cosa, Il pole pole dei tanzani è una filosofia: c’è troppo da vivere e da scoprire, intorno a noi, per avere così tanta fretta.e Bagamoyo vuol dire ‘Lascio il mio cuore’, da qualche parte nel fitto del palmeto una prigione cadente, sbarre di ferro solide e rugginose, e la campanella allegra d’una chiesa, canti che implodevano mentre il sole stava già calando, puntuale. La mattina ho visitato la fattoria dei coccodrilli, e una missione di suore lungo una stradella impervia, racimolato qualche oggetto di artigianato fino ad un cartello che mi indicava un posto dove mangiare: man mano che scendevo lungo il sentiero, mi sembrava di addentrarmi come dentro un paradiso di fiori. Poi una baracca, ombra e vago odore di cibo: il menu con poca roba, pane e patate e poco altro, e in basso la scritta, ‘Se hai ombrellifretta, questo non è il posto per te’. Il pole pole dei tanzani è una filosofia: c’è troppo da vivere e da scoprire, intorno a noi, per avere così tanta fretta.

Tanzania dentro il Saadani National Park

Dalle parti di Bagamoyo, sulla costa un po’ più a nord, ho visitato il Saadani, il più piccolo dei parchi tanzani, di fronte alla costa settentrionale di Zanzibar, raggiungibile con un piccolo velivolo dal minuscolo aeroporto di Pangani, pista sterrata con qualche facocero che invade il campo dopo aver grufolato tra le povere capanne vicine. Ogni tanto scimmie e giraffe scantonano, aggirandosi tra gli umani, per poi insabbiarsi sulle spiagge farinose, piene di granchi rosa che scavano e scavano, magari vicino alle orme di qualche leonessa fuori mano.

A Saadani, villaggio di transito che dà il nome al parco, le baracche sono casuali e malmesse, senza porte o finestre, occhi di bimbi curiosi si affacciano discreti, qualcuno corre via per chiamarne altri, ho mangiato riso e fagioli (piatto tipico tanzano) in un

Nella foto Giuseppe Cusumano. Foto Marco Gulino
Nella foto Giuseppe Cusumano. Foto Marco Gulino

lounge bar’ di legno e paglia, sotto la tettoia musica dance e un uomo che arrostiva pannocchie per qualche bambino, con pazienza atavica. Era appena finita la stagione delle piogge, fango un po’ ovunque, e fumo da legna appena raccolte, schiamazzi un po’ più in là per il gioco della corda, davanti a una casa in mattoni e fango con tetto in lamiera.

Alberto è di Torino, è giovane comunque molto più di me, e la sua scelta di vita è stata radicale: coi soldi del padre dentista ha costruito un villaggio di palafitte in legno su una spiaggia di paradiso, dentro il Saadani National

Park, viverci è contatto assoluto col mare e la savana proprio alle spalle, intorno, sopra gli alberi fitti, colonie di scimmie che sembrano piangere, e uccelli che fanno versi suadenti nottetempo, qualche brontolio sordo dalle radure non troppo distanti: un temporale notturno mi ha sbattuto le imposte semiaperte, in compenso quel bagliore fulmineo tra nubi e orizzonte è capace di tenermi desto per ore, Aisha all’alba mi offre un tangawizi chai, lei è di Zanzibar e una volta al mese raggiunge i familiari, parte col traghetto di notte e si ferma giusto un paio di giorni, così, per non mettere in difficoltà Alberto. Con tutte quelle nubi non è stato possibile vederla, la sua isola, avvolta in

I bambini africani. Foto Marco Gulino
I bambini africani. Foto Marco Gulino

quella tumultuante oscurità. Ma Zanzibar non è l’Africa.

La vera Africa risiede nel nulla felice riflesso nelle gemme dei visi dei bambini della savana: quei visi che mi spingono a tornare, ogni volta, con sempre più inestinguibile nostalgia.

Articolo di Giuseppe Cusumano

 

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