Massimiliano Scuriatti: “Il Teatro di Pippo Fava per le nuove generazioni”


“Non è un tentativo commerciale, ma una possibilità di fare ascoltare le parole di Pippo Fava ai ragazzi”. Questo il messaggio di Massimiliano Scuriatti, curatore del primo dei tre volumi, “A che serve essere vivi”, Bietti edizioni, dedicato al Teatro di Pippo Fava. Dopo il debutto nello stand della Regione Sicilia al “Salone del Libro” di Torino incontriamo l’autore in occasione della tappa catanese.  “L’opera contiene quattro dei sedici testi teatrali. Sono già al lavoro per il secondo volume, per portare in giro il pensiero di Fava”.

Cos’ha questo libro in più rispetto agli altri testi pubblicati sino ad oggi su Fava?

“Nella stragrande maggioranza dei casi si è sempre ricordato Fava come giornalista d’inchiesta sottolineando l’avventura dei “Siciliani” tralasciando in parte la sua imponente produzione drammaturgica. L’obiettivo del libro è dar luce a quest’aspetto e far emergere la bellezza e l’estrema avanguardia dei testi”.

Nel libro è presente anche molto materiale inedito. È stato difficile attingere a questi nuovi documenti?

“L’aiuto della figlia Elena insieme a quello della Fondazione Fava è stato fondamentale per realizzare questo importante progetto editoriale. Non si tratta di una semplice trascrizione dei testi teatrali. Per la prima volta appare il monologo di Venero Alicata,  tratto da “La Violenza”, scritto per un giovane Leo Gullotta. È stato pubblicato anche in anastatica una sorta di Teatro Cabaret  del 1979 scritto in collaborazione con Pippo Baudo, perché oltre ad essere dattiloscritto ci sono delle correzioni a margine scritte dallo stesso Fava a cui era impossibile poter effettuare un lavoro di cernita. Non si poteva scegliere cosa lasciare o eliminare, non aveva senso. Ci sono anche delle fotografie del Premio Valle Corsi, vinto nel ’66 con “Cronaca di un uomo”. È un lavoro che cerca di descrivere l’intellettuale a tutto tondo che era Pippo Fava, cercando di non tralasciare anche alcuni importanti avvenimenti umani e professionali attraverso la testimonianza fotografica”.

In questa stagione teatrale appena conclusasi, in occasione dei trent’anni dalla tragica scomparsa, Fava è di nuovo protagonista allo Stabile di Catania con Foemina Ridens. Cosa ne pensa?

“È un ritorno alle origini. Mi piace pensare che l’incontro tra Pippo Fava e Mario Giusti sia uno di quei particolari miracoli che hanno segnato la storia del nostro teatro. Oggi si può affermare che l’aspetto artistico sta acquisendo maggiore rilievo ed importanza grazie anche le repliche che si faranno anche nella prossima rassegna dello Stabile”.

Cosa si aspetta da questo primo libro a cui faranno seguito ben altri due volumi?

“È fondamentale che il teatro di Fava non sia solo letto ma anche rappresentato. Mi auguro che la diffusione di questo volume stimoli quella sana curiosità tra gli addetti ai lavori in modo che si possano realizzare gli spettacoli”.

È possibile anche leggere due interviste a due personaggi molto vicini a Giuseppe Fava come Leo Gullotta e Ida Di Benedetto. Durante gli incontri con i due attori cos’è emerso?

“Sicuramente una grande amicizia che va al di là del semplice rapporto professionale. Fava è stato amato non solo dai giovani “carusi” di un tempo, ma anche dagli attori, dalle varie compagnie teatrali e tutt’ora dai ragazzi dei giorni nostri. Sono di più quelli che l’hanno amato e continuano ad amarlo rispetto a chi l’ha odiato”.

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