Moas, l’ong che aiuta i migranti con soldi di privati


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(C)Jason Florio

È nel Luglio del 2013 dopo un naufragio avvenuto a Lampedusa che Christopher Catrambone e Regina, sua moglie, due imprenditori che vivono a Malta, spinti dalla voglia di reagire di fronte all’ennesima tragedia nel Mar Mediterraneo creano MOAS, Migrant offshore aid station, una ONG che nasce dalla necessità di fare qualcosa per sopperire a una tale emergenza umanitaria.

Il MOAS spiega la sua fondatrice è una spinta ad agire per aiutare l’altro, per mettersi in gioco di fronte a tanta barbarie e tanta disperazione, “Io mio marito e mia figlia siamo stati a bordo delle navi, delle barche di legno, dei gommoni, su cui viaggiano queste persone; dietro ogni volto di questa gente c’è una storia. Ognuno ne ha una diversa, ci sono storie di miseria, di tristezza; persone che fuggono dalla guerra, storie di perseguitati.

Io sono felice quando li vedo arrivare vivi anche se il loro viaggio non è ancora finito”.

Cos’è il Moas

Il MOAS è un’organizzazzione umanitaria internazionale, finanziata da una rete di donatori privati in tutto il mondo, creata con soldi che in principio erano stati messi da parte per altro dalla famiglia Catrambone; la quale dinnanzi alla morte non ha esitato a cogliere l’appello del Papa e ha deciso di investire i propri risparmi per salvare i migranti in mare.

“Abbiamo voluto dare spazio al cuore-dice Regina- abbiamo sentito e abbiamo visto qualcosa quando eravamo in mare e abbiamo voluto agire lì, in mare.”

Le navi del Moas
Le navi del Moas

È questa l’attività che principalmente il MOAS fa, sottrarre le vite alle acque del mare, nell’Egeo, nel Golfo del Bengala e nel Mediterraneo.

L’organizzazione del MOAS è specializzata nella ricerca e nel soccorso, quest’anno ha schierato nel Mediterraneo due navi e due droni che ampliano il raggio di perlustrazione della così detta ‘zona morta’, le acque più pericolose vicino alle coste libiche.

L’attività della ONG ha grandi costi, “ma per noi il valore più grande è la vita umana, siamo aiutati da persone che ci credono, non abbiamo donazioni dall’Europa, non abbiamo finanziamenti, siamo aiutati da persone benestanti e da persone normali che rinunciano anche a pochi spicci per salvare  questa gente ed evitare di farla morire nella disperazione, spero però-conclude Regina- che nel futuro non ci sia più bisogno del MOAS”.

Due sono state le navi protagoniste della terza stagione di salvataggio nel Mediterraneo, iniziata il 6 giugno, in collaborazione col team medico di Emergency e Croce Rossa Italiana per la prima volta a bordo del MOAS.

Le due imbarcazioni La Poenix di 40 metri munita di droni e La Responder di 52 metri, sono in grado di inviare immagini ad alta risoluzione grazie all’utilizzo di sensori ottici diurni e notturni, che hanno permesso di accelerare le missioni di salvataggio.

A bordo delle navi lo staff medico e l’equipaggio fornisce primo soccorso ai migranti salvati dal mare, generi alimentari e beni di prima necessità.

Il MOAS, nelle frontiere più pericolose al mondo ha salvato oltre 20.000 vite, almeno fino a questo momento.

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