The Raftmakers, il nuovo documentario di Igor D’India


The Raftmakers, tappa Cuba

Esplorare i fiumi di varie parti del mondo su zattere improvvisate: è questo The Raftmakers, il nuovo ed entusiasmante progetto del giovane documentarista siciliano Igor D’India.  Ma l’esperienza di Igor non si limita a un viaggio all’insegna dell’avventura adrenalinica. Il suo intento, infatti, è raccontare lo stato in cui versano alcuni dei corsi d’acqua più suggestivi del Laos, di Cuba, del Belize e dell’Italia. Tra le varie tappe c’è anche il fiume Oreto di Palermo, a cui Igor, da buon palermitano, rivolge un’attenzione particolare in quanto rappresenta un esempio decisamente negativo di convivenza uomo-natura. L’affascinante viaggio on the river del documentarista, fatto di sorprese, scelte improvvisate e confronto con altre culture, si appresta a diventare una serie televisiva in sei episodi, oltre che un documentario.  Al fine di raggiungere l’obiettivo di 28.000 dollari, è stata lanciata una campagna di crowdfunding sulla piattaforma internazionale Indiegogo.

Per scoprire altri dettagli sull’avvincente progetto The Raftmakers, rivolgiamo alcune domande direttamente a Igor D’India. Di solito chi vive esperienze forti ed entusiasmanti come questa, ha davvero tanto raccontare e Igor lo fa in maniera impetuosa, proprio come un fiume in piena.

Intervista a Igor D’India

The Raftmakers,il fiume Mekong in Laos
The Raftmakers,il fiume Mekong in Laos

Prima di parlare del tuo nuovo progetto, sarebbe interessante sapere se è nata prima la  passione per il viaggio o quella per il documentario…

“Nel mio caso, l’interesse per il viaggio e quella del documentario sono nati insieme. Infatti, da piccolo intraprendevo spesso viaggi on the road alla scoperta dell’Italia con i miei genitori. Quando avevo 10 anni, sono stati proprio loro a consegnarmi una macchina fotografica, una vecchia Pentax a rullino. A 14 anni ho ricevuto, invece, la prima telecamera. Così, sono diventato l’addetto alle foto e ai filmini delle vacanze di famiglia. Inoltre, mia mamma è di Udine e da ragazzino ascoltavo affascinato i racconti degli alpinisti. Fondamentale per la mia formazione è stato ricevere in dono un libro del grande alpinista italiano Walter Bonatti, divenuto esploratore e autore di diversi reportage per il settimanale Epoca, edito da Mondadori. Bonatti, che si ispirava alle letture di

Igor sul fiume Oreto
Igor sul fiume Oreto

Herman Melville e Jack London, esplorò le regioni più impervie del mondo. Ormai per me viaggiare e raccontare sono due attività complementari ed inscindibili.”

Il tuo nuovo progetto si chiama The Raftmakers. Perché la scelta della zattera?

“Mi trovavo in Laos e la gente non capiva come volessi attraversare il fiume Mekong. Poi, improvvisamente un mio amico americano mi propose “Perché non costruisci una zattera? Magari le persone del luogo ti aiuteranno a farlo”, ma io non avevo idea di come bisognasse costruire una zattera. “

Quindi ti trovavi in un luogo sconosciuto a dover costruire un’imbarcazione a te sconosciuta…

Igor esplora il Mekong su una zattera improvvisata
Igor esplora il Mekong su una zattera improvvisata

“Esatto! Per me era la situazione ideale. L’avventura inizia così, affrontando l’ignoto e facendo i conti con la precarietà dei mezzi. Naturalmente è  necessario, però, anche un minimo di formazione e di studi sul territorio che si va ad esplorare.”

Tra le tappe del tuo viaggio on the river c’è anche il fiume Oreto di Palermo. In che condizioni versa oggi?

“L’Oreto è stato il primo corso d’acqua che ho risalito e ho deciso di tornarci nuovamente per metterlo a confronto con altri fiumi del mondo. È possibile tracciare un parallelismo e chiedersi se questo corso d’acqua tra qualche  anno sarà devastato dall’inquinamento nella totale indifferenza della popolazione, come avviene attualmente per il Mekong in Laos. Un

The Raftmakers, tappa cubana
The Raftmakers, tappa cubana

tempo l’Oreto era un fiume più grande e, a seguito anche di alcuni interventi dell’uomo, è diventato quello che i nativi americani chiamerebbero creek, ovvero un ruscello. Ma purtroppo i palermitani sembrano essere indifferenti al disastro ambientale. È vero che recentemente si organizza qualche attività in più per migliorare la situazione infelice in cui si trova il corso d’acqua, ma si tratta di iniziative sporadiche e non sistematiche. Ognuno dovrebbe fare ciò che è nelle sue possibilità e competenze. A me ad esempio, spetta principalmente il compito di documentare e sollevare la questione. Parlarne rappresenta già un primo passo, ma parlare e raccogliere firme non basta se poi non si passa ai gesti concreti. Per gesti concreti non intendo illudersi di stravolgere improvvisamente in meglio la situazione. In Sicilia, si cade spesso nella tentazione di voler fare tutto subito ma bisogna considerare che a qualche metro dal fiume Oreto sorgono quartieri disagiati come Brancaccio, in cui le

Igor su una zattera a Cuba
Igor su una zattera a Cuba

priorità sono certamente altre. Sarebbe assurdo, quindi, pensare di dar vita dall’oggi al domani al parco del fiume Oreto se attualmente è inquinato e manca una coscienza ambientale. In quel caso l’Oreto si trasformerebbe in materiale da propaganda elettorale. La sensibilizzazione verso la questione richiede tempo e pazienza: la volontà di proteggere un fiume nasce dal senso di appartenenza al fiume stesso, perché se si ama davvero un posto si fa di tutto per proteggerlo.”

In quali luoghi hai constatato un maggiore interesse verso la tutela dei corsi d’acqua?”

“Sicuramente in Veneto nei confronti del fiume Sile. Qui l’associazione open canoe open mind si sta mobilitando in maniera energica per sensibilizzare gli abitanti territorio e ripulire il corso d’acqua. Se ci fosse un gruppo simile di attivisti così organizzati e volenterosi anche a Palermo per l’Oreto, che è un fiume molto più piccolo rispetto al Sile, i risultati sarebbero tangibili.”

Cosa puoi dirci riguardo al progetto del documentario e della serie televisiva?

“Ancora bisogna terminare le riprese in Belize e in Italia e procedere con il lavoro di postproduzione. Per quanto riguarda la serie televisiva in sei episodi, siamo in trattativa con delle co-produzioni che vorrebbero partecipare al crowdfunding e ci sono già dei distributori interessati. Invece, il documentario sul progetto The Raftmakers, che spero venga presentato in vari festival, riassumerà in circa un’ora e mezza le diverse tappe della serie televisiva.”

 

 

 

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