Lilyana Pizzo: l’allenatrice che portò il primo scudetto femminile in Sicilia


Lilyana Pizzo: l'allenatrice che portò il primo scudetto femminile in Sicilia lyana pizzo

Incontriamo le sorelle Tiziana e Donatella Pizzo per una chiacchierata amichevole e confidenziale, alla scoperta di Lilyana Pizzo, campionessa di pallavolo che ha scritto pagine indelebili nello sport siciliano e non solo.

Cominciamo col dire che Lilyana di cognome in realtà non fa Pizzo…

Si, è così. Il vero cognome di mamma era Caponnetto, però da quando si è sposata ha preso il cognome di papà e si è sempre presentata come Lilyana Pizzo.

Mi tracciate un profilo della vostra mamma come donna e come campionessa?

(Donatella) questa è una domanda difficilissima alla quale faccio un po’ fatica a rispondere. Il nostro rapporto era così viscerale che a causa del grande dolore ad un mese e mezzo della sua scomparsa, sono stata veramente male. Io credo che in sessant’anni di vita io sia stata senza mia madre meno di dieci giorni.

Dall’82, quando abbiamo aperto le palestre Pizzo fino al 2004, ogni giorno abbiamo lavorato insieme, ho giocato con lei fino a cinquant’anni, fino al 2013 quando abbiamo fatto la scelta di vivere insieme sin quando lei ci ha lasciate nel 2020.

Io (Tiziana) devo dire che ho un’esperienza diversa dalla sua, nel senso che io poi me ne sono andata e non l’ho vissuta in maniera simbiotica come Donatella. Era una donna rigorosa, soprattutto in campo, non faceva distinzioni a vantaggio nostro.

Lilyana Pizzo, donna severa e determinata

Lilyana Pizzo e Paolo Reale,

È stata una donna moderna, disinibita, e, anche se lei non si vorrebbe assolutamente sentire definire così, una femminista. Immaginate che lei 1952/ 53 a diciannove anni, sposata e con un figlio, mio fratello Piero, è andata a studiare a Roma perché aveva questa grande passione dello sport.  E qui entra in gioco la grande lungimiranza di mio papà. Ditemi quale uomo nel 1952 avrebbe mandato sua moglie a studiare fuori sede e sarebbe rimasto a casa a crescere mio fratello Piero. Tra l’altro loro avevano vent’anni di differenza: mio papà quando si sono conosciuti era un uomo di trentasette anni e mia mamma ne aveva solo diciassette. Figuriamoci a quel tempo come poteva scioccare una situazione del genere! Ma lei era talmente avanti, era talmente più grande di se stessa, che questa cosa mio papà la colse subito nel momento in cui l’ha conosciuta…

Lilyana Pizzo e Paolo

Come si sono conosciuti?

Si sono conosciuti perché lei amava nuotare, a San Giovanni Li Cuti, e mentre nuotava facendo lo stile libero, mio papà la notò e chiese chi fosse quella ragazza che nuotava così bene. Da lì è iniziato questo sodalizio, lui l’allenò prima al nuoto, poi la portò in palestra a fare pallavolo, in quanto lui era già insegnante di educazione fisica e aveva tutta una storia di nuotatore e pallavolista, faceva anche scherma, atletica ed era persino maestro di sci d’acqua, un polisportivo insomma. Quindi si sono incontrati, si sono innamorati e poi quando andò in palestra e provò la pallavolo, mia mamma è impazzita per questo sport, le piacque moltissimo e cominciarono così con la prima squadra, quando le atlete giocavano ancora con le gonne lunghe.

In che anni siamo?
Erano gli anni 63/64. E mia mamma, già con tre figli piccoli che le zampettavano dietro, giocava, allenava e aveva una squadra sua.  Noi abbiamo vissuto praticamente tra piscina e palestra da sempre, ci portava col passeggino e con la valigetta, eravamo sempre presenti, per tutta la sua lunghissima carriera sportiva.

Mi raccontate qualche aneddoto?

Mi ricordo quando eravamo in nazionale, lei era l’allenatrice e io (Donatella) sapevo bene che non potevo correre il rischio di farle fare brutta figura, quindi dovevo necessariamente essere inappuntabile, perché non potevo e non volevo metterla in difficoltà. Una volta non arrivai puntuale all’allenamento. Ricordo che era furibonda. Immagino che qualsiasi altro allenatore magari mi avrebbe fatto stare in palestra delle ore in più rispetto alle altre. Non lei. La sua punizione fu invece di non farmi allenare, perché per lei l’allenamento rappresentava il premio. E allora mi fece raccogliere i palloni, che per me è stata un’umiliazione incredibile. Io capitana della squadra, una giocatrice forte, la migliore in Europa, quel giorno mi disse asciutta: “Non ti alleni e raccogli i palloni”. Una donna incredibile.

Lilyana Pizzo, la vittoria più bella….

Qual è stata la vittoria più bella della mamma oltre quella dello scudetto che sembra scontata?

Lei diceva sempre: “Per me la vittoria più bella è entrare in campo. Io ho vinto tanti scudetti quante sono le partite che ho giocato”.

Cosa vi ha tolto la pallavolo da figlie d’arte e cosa invece vi ha dato.

Ci ha dato sicuramente gioia, ma non ci ha tolto niente. I sacrifici che abbiamo fatto sono stati un arricchimento. La discoteca, le feste, il fidanzatino non sono state rinunce, almeno, non le abbiamo vissute come tali. La pallavolo ci ha dato tutto.

E voi cosa avete cosa pensate di aver dato alla pallavolo?

Noi abbiamo dato il nostro impegno, indipendentemente dalla consapevolezza di darlo. Noi facevamo quello che facevamo perché fondamentalmente ci piaceva. Non dovevamo dimostrare niente a nessuno e poi i risultati ci sono stati e se dopo tanti anni la gente ci ferma ancora per strada e ci dice: “Io sera del 19 Aprile 1980 ero al palazzetto”, evidentemente qualcosa abbiamo dato. Per questo la nostra battaglia per intitolare il Palacatania alla mamma è assolutamente giustificata, più che per noi, per lei.

Com’è cominciata la vostra battaglia per intitolare il Palacatania alla mamma?

Al suo funerale a giugno del 2020 il sindaco di allora Salvo Pogliese, in un’intervista disse di voler fare qualcosa per intitolare alla professoressa Pizzo Il Palacatania. Poi lui ha avuto varie vicissitudini e la cosa è stata accantonata. Adesso speriamo nella nuova amministrazione con l’avvocato Trantino. Intanto abbiamo aperto il gruppo su Facebook, tanta gente da ogni parte d’Italia ci segue e abbiamo già superato i 3000 followers. C’è persino l’arbitro che nel 1970 ci ha arbitrato in finale per il titolo italiano, per non parlare di tutte le atlete che la mamma ha allenato nel corso della sua carriera, o anche dei suoi ex alunni.

C’è un motto, una frase che lei diceva sempre e che può racchiudere il suo modo di fare pallavolo?

Si, credo proprio di sì. Ricordo che lei diceva sempre: “Non c’è una cosa che sia stata fatta bene e che non si possa migliorare”. Questo per dire che lei alzava sempre l’asticella, cercava sempre di tirare fuori il meglio che c’era in ogni atleta, spingendo a superare i suoi limiti.

 

Articolo Precedente "TenerAmente", a Catania e Misterbianco 3 giorni dedicati all'infanzia
Articolo Successivo Anna Valotta Design: quando la moda abbraccia la sostenibilità

Scrivi un Commento

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *