Che lavoro fai? mi si chiede. È questo il momento in cui vengo investita della responsabilità di spiegare in cosa consiste la mia professione, che per quanto sia nata oltre oceano negli anni ’30, qui in Italia (e soprattutto in Sicilia) è ancora poco conosciuta.
Io sono un Counselor!
Il Counselor è un esperto dell’ascolto e del sostegno alla persona nella relazione d’aiuto. Una figura professionale che necessita di una specifica formazione quadriennale, ufficialmente riconosciuta e regolamentata dalla legge 4/2013.
Per chiarire il nostro ruolo: a chi non capita di attraversare fasi difficili nella propria vita? Quelle in cui ci si sorprende a dover fronteggiare un disagio relazionale, degli ostacoli comunicativi, dei momenti di crisi del proprio panorama emotivo, una certa confusione nel prendere una decisione o nel fare un passo verso il cambiamento utile per il nostro benessere, ma che proprio non riusciamo a compiere. Il Counselor interviene in questi casi in qualità di promotore del benessere. Una figura appositamente formata per sostenere, facilitare, accompagnare la persona in un percorso mirato alla riorganizzazione e attivazione delle risorse di cui ogni individuo dispone per il raggiungimento degli obiettivi desiderati e che alle volte stenta ad individuare e attivare da solo.
Il nostro intervento professionale è di natura comunicativo-relazionale e si rivolge a singoli, coppie, famiglie e gruppi.
Il counseling interviene in contesti privati e pubblici e offre numerose aree specialistiche, che spaziano dal contesto sanitario a quello scolastico-professionale, da quello aziendale e organizzativo a quello affettivo e familiare.
Quanto detto non va confuso con la psicoterapia, che è un processo di altra natura. Questa è strutturata su un percorso introspettivo profondo e certamente di più lunga durata, necessaria nell’intervento di cura e rivolta a chi porta con sé psicopatologie o disagi profondi di natura esistenziale.
Per quanto forte sia il disagio vissuto dalla persona, non tutti necessitano di un intervento psicoterapeutico. È in questi casi che ci si affida ad un percorso di counseling, breve e focalizzato sul singolo disagio presente nel “qui ed ora”, volto all’acquisizione di un maggior grado di consapevolezza di sé e delle proprie risorse, con la finalità di superare la fase di stallo, promuovere il benessere e prevenire una possibile patologia.
Articolo scritto dal Counselor Giuliana Peluso
Buongiorno Sig.ra Peluso, ho letto l’articolo da lei scritto e ho notato numerose imprecisioni. MI risulta che il counseling, dopo la sentenza del tar, non rientri più nella legge da lei citata che lo regolamenta (parlo di assocounseling ma in generale anche della professione in sè) e, in particolare, un counselor non ha la qualifica per valutare il livello di disagio di una persona sia esso lieve o più severo. Altra grave imprecisione riguarda la psicoterapia che non necessariamente è un percorso lungo ma esistono interventi brevi ma ugualmente profondi.
Ad oggi, se non sbaglio, le figure preposte alla presa in carico del disagio psichico sono ESCLUSIVAMENTE psicologi e psichiatri e chi non rientra in queste categorie professionali commette un abuso.
Cordiali saluti
Giorgio
Ringrazio il Sig. Giorgio (mi spiace non conoscerne il cognome) per l’opportunità da lui fornitami col suo commento, di poter chiarire ai lettori che:
– la sentenza del Tar Lazio datata 17/11/2015, alla quale si fa riferimento, non riguarda il riconoscimento della professione di counselor da parte della legge 4/2013 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”. Riguarda invece l’associazione di categoria Assocuonseling e, cito testualmente la sentenza “il provvedimento con il quale il Ministero dello Sviluppo Economico ha disposto l’inserimento della controinteressata AssoCounseling nell’Elenco delle associazioni professionali non regolamentate”, in quanto, secondo un riesame della richiesta, si rileva che “benché avesse ricevuto un primo parere favorevole da parte del Ministero della Salute (nota del 24 marzo 2013 all. 3 del ricorso) evidenziava, secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, delle criticità relative al sito web dell’Associazione ed al contenuto di uno dei documenti allegati alla richiesta, per l’esistenza di alcune terminologie da modificare” (cit.).
Tradotto significa che le associazioni di categoria, così come i singoli professionisti che si arroghino il diritto di utilizzare terminologia o, peggio ancora operino con tecniche, interventi e strumenti propri della figura di psicologo, trasgrediscono la legge 4/2013 che formalmente li riconosce.
Nulla di nuovo rispetto a quanto già definito nel 2013.
Aggiungo che nella sentenza, nella prima riga di pagina 10, si precisa che la professione di counselor può continuare ad essere regolarmente svolta senza alcuna variazione o restrizione rispetto al regolamento preesistente;
– riguardo alla seconda contestazione del Sig. Giorgio nessuno ha mai dichiarato che il counselor faccia valutazioni sul livello di disagio della persona. È la persona che in autonomia ritiene di vivere una difficoltà il cui livello può essere compatibile con un percorso di counseling e non di psicoterapia e, con altrettanta autonomia si rivolge al professionista che crede più utile per raggiungere il proprio obiettivo;
– rispetto alla contestazione sulla durata dei percorsi di counseling definiti più brevi di quelli di psicoterapia, è probabile che il Sig. Giorgio non sia informato del fatto che un percorso di counseling è limitato ad un massimo (possono quindi essere meno) di 10 incontri, così come previsto dal regolamento interno alla professione e dalla legge, accordo che viene definito per iscritto tramite contratto firmato dal cliente.
Vogliate perdonare la necessaria prolissità di questo mio intervento.
Cordialmente
Giuliana Peluso
“La suddetta sentenza dispone che il disagio psichico, anche al di fuori dei contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo e che la gradazione del disagio psichico, dunque, presuppone una competenza diagnostica che pacificamente non riconosciuta ai counselors” Cit. dall’ordine nazionale degli psicologi.
Nell’articolo è chiaramente fatto riferimento alla gravità del disagio psichico o esistenziale e alla sua forza ma, nella sua risposta, scrive che non fa valutazioni a riguardo lasciando alla persona la libertà di scegliere a chi rivolgersi. Questa posizione, apparentemente garante della libertà individuale, lascia aperti quesiti non da poco. Non sempre chi vive un momento di sofferenza è in grado di capire la natura della stessa e la sua profondità ma se neppure il counselor sa farlo, chi lo fa? Come si fa a capire se il dolore ha radici più lontane e inconsce (quindi non consapevoli al cliente stesso)? Per non parlare di aspetti francamente patologici ma ben mascherati.
Ammettendo il caso che nessuna di queste ipotesi sia corretta e che quindi un percorso di counseling sia l’approccio più indicato, anche lo psicologo è in grado di farlo ma con una formazione universitaria come minimo se non anche specialistica.
Rispetto al punto della lunghezza della psicoterapia, nel suo articolo scrive “certamente di più lunga durata” rispetto al counseling quando non è necessariamente vero poiché esistono interventi di diverso approccio focalizzati sul problema è brevi.
Mi scuso anche io per la lunghezza.
Cordiali saluti
Giorgio