Valeria Contadino porta in scena la maternità negata


Valeria Contadino e Mario Incudine. Foto Antonio Parrinello
Valeria Contadino e Mario Incudine. Foto Antonio Parrinello

Protagonista femminile ne Il casellante, Valeria Contadino, incarna Minica, che racconta il dramma della maternità negata e il peso della violenza della femminilità offesa.

Lo spettacolo, diretto da Giuseppe Dipasquale con adattamento per il teatro scritto a quattro mani con Andrea Camilleri, ha debuttato alla 59^ edizione del Festival dei 2Mondi di Spoleto. Sul palco, protagonisti insieme a Valeria Contadino, ci sono Moni Ovadia e Mario Incudine, che firma anche le musiche. Compongono il cast Sergio Seminara, Gianpaolo Romania ed i musicisti Antonio Vasta ed Antonio Putzo. I costumi sono di Elisa Savi e le scene dello stesso Dipasquale.

Il prossimo 7 marzo Il casellante farà tappa a  Palermo al Teatro Biondo fino al 12, per poi andare in scena a Noto (Sr), il 14 marzo al Teatro Di Lorenzo, il  15 marzo a Enna, al Teatro Garibaldi, il 16 marzo a Marsala, al Teatro Impero e dal 17al 19 marzo al Teatro Pirandello di Agrigento.

In un’intervista a Sicilia & Donna, Valeria Contadino, moglie e mamma di cinque figli, ci racconta come si presta a diventare frutto della trasformazione irrisolta di Minica, simbolo  della vittoria della vita sulla morte e sul dolore svelandoci anche alcuni retroscena dello spettacolo.

Intervista a Valeria Contadino

Può dirci di più su quest’opera?

“È una storia molto forte. All’interno di un quadro storico, quello della seconda guerra mondiale, Camilleri racconta la storia di  due giovani sposi, Nino e Minica, il cui unico desiderio è avere un figlio. Il figlio arriverà però la loro vita verrà travolta dal dramma, poiché Minica subirà uno stupro violento e brutale, in seguito al quale non potrà avere più figli. Emerge a questo punto il grande valore, anche amorevole, che Camilleri dà alla donna, in quanto Minica non è un personaggio che si rassegna. Nonostante il suo dolore di non poter diventare più madre, che in un primo momento la pietrifica, riesce comunque a sublimare la sofferenza attraverso la trasformazione, cercando dentro sé di diventare altro da sé, di trasformarsi in un albero, un elemento della natura, come a voler ancora generare e fare frutti. La trasformazione ovviamente non avverrà mai”.

Attraverso il suo personaggio, l’opera teatrale, oltre a denunciare la brutalità della violenza di genere vuole comunque lanciare un messaggio di speranza per la donna?

“Sì. Credo che la possibilità di poter trasformare il dolore in qualcosa di costruttivo, ovvero il processo di metamorfosi insito in questo racconto, che Camilleri ci descrive, è una trasformazione che è insita nell’animo femminile. Perché credo che le donne abbiano, più degli uomini, la capacità di trasformare quello che a volte è sconfitta, delusione, tragedia e dramma”.

Quindi, nonostante il dramma, alla fine affiora il lato positivo…

“Sì l’elemento catartico indubbiamente c’è. È chiaro che nel racconto, Camilleri lancia diversi messaggi, perché ogni personaggio porta in scena uno spaccato di umanità diverso molto forte. La guerra stessa ha una simbologia molto forte, perché la guerra è distruzione ma è vero che è anche rinascita perché dalle macerie rinascono i pilastri di una nuova società. Anche la mafia, attraverso la quale Nino si farà giustizia da solo, paradossalmente non è vista come elemento negativo, in quanto interverrà laddove la giustizia sarà stata assente”.

Come si è preparata a interpretare questo personaggio? Quanto ha messo di suo nel personaggio di Minica?

“Diciamo che di mio c’è ben poco. Noi tendiamo solitamente a far uscire dei lati della nostra persona però in questo caso è veramente lontano. Perché Minica racconta di una maternità negata, io ringraziando Dio ho cinque bambini meravigliosi, per cui devo dire che il Signore è stato molto generoso con me. Quello che mi ha ispirata per questo personaggio è la potenza che la natura ti dà, nel bene e nel male. Perché non sempre tutto quello che la natura ci dà è sempre positivo”.

Quando si parla di violenza di genere spesso si afferma che per cominciare a risolvere il problema  bisognerebbe iniziare dall’educazione che si dà ai figli. In che modo secondo lei?  

“Quello che posso dire è che secondo me una ricetta non esiste. Se fosse così, credo che qualsiasi genitore coscienzioso la metterebbe in pratica. È chiaro, l’educazione è la prima cosa, però io credo che ancor prima di tutto ci sia l’amore che dai ai tuoi figli. Credo che le persone che crescono in maniera violenta non siano delle persone amate o che comunque reclamano dell’amore. Quando questo viene a mancare non dipende dalla quantità di tempo che dedichi ai tuoi figli quanto dalla qualità. Poi ognuno la vita se la vive come vuole. Io faccio un lavoro un po’ pazzo per cui i miei figli non li vedo per tanto tempo, però lo sanno che li amo, che torno da loro e cerco di compensare sempre”.

Tornando al teatro, quindi alla sua carriera, ci sono già nuovi progetti in cantiere?

“Sto già lavorando a un nuovo progetto importante però per adesso non mi posso sbilanciare più di tanto”.

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