Alfredo Danese: l’arte dell’acconciatore e l’amore per il teatro


Alfredo Danese

È a luci spente, col sipario spiegato a coprire il palco e le sedie vuote, che vive il teatro. Il motore sta dietro le quinte, Alfredo Danese lo sa bene, il teatro lo ha vissuto sin da piccolo.

Stanze e corridoi in fervore, nell’aria una caotica armonia e decine di tecnici e artigiani, ciascuno con la propria arte, ciascuno ad alimentare quella complessa macchina che è il teatro.

Alfredo Danese il teatro lo alimenta con le forbici in mano.

L’arte dell’acconciatore dello spettacolo la impara dal padre, Gaetano Danese, maestro “artigiano del capello”, fondatore nel 1975 del reparto parrucchieri e truccatori del teatro Vincenzo Bellini di Catania.

È al Bellini che Alfredo conosce il teatro dietro il palcoscenico e se ne innamora.

Apprende che la sua maestranza non si limita a operare sulle parrucche e sui capelli degli attori, ma è contributo attivo e fondamentale alla creazione di quel delicato equilibrio che sta alla base del lavoro collettivo teatrale.

“La mia più grande soddisfazione, la più vera” mi confessa l’acconciatore “fu quando un soprano della levatura di Caterina Sala, a fine produzione, mi ringraziò dell’energia, della serenità che le avevo trasmesso”.

Ha conosciuto e lavorato in tanti saloni teatrali italiani (quale quello della Scala di Milano) ed esteri (fra gli altri, alcuni in Giappone e in Canada da giovane col padre, e più recentemente in Tunisia).

Ha preso parte a produzioni come la Norma con il grande soprano greco Dīmītra Theodosiou, suscitando l’attenzione del “re delle parrucche” Mario Audello, che invitò Alfredo a seguirlo a Torino per lavoro:

“Resto a Catania” si sentì rispondere perché “il Bellini lo sento mio”.

Alfredo Danese: dal teatro al cinema

Altra dimensione fondamentale del suo lavoro è anche quella cinematografica. È nei set che, assieme alla sua squadra, fa esperienza delle differenze fra i due mondi dello spettacolo.

“Il cinema è attesa”, mi dice Alfredo citando l’attore Pino Caruso, ore di preparativi per pochi secondi di girato, e la richiesta di un’attenzione ai dettagli millimetrica (talvolta, ad esempio, nell’evitare che anche un singolo ciuffo appaia diverso fra un campo e un controcampo).

Una distanza abissale, dunque: Maria Teresa Corridoni, acconciatrice cinematografica vincitrice di un David di Donatello, vengo a sapere “non tagliava nemmeno i capelli”.

Nel corso del tempo, però, non tutto è rimasto uguale. A partire dagli anni Novanta, la tendenza generale nelle produzioni, tanto in teatro quanto nel cinema, è di sacrificare la qualità a vantaggio del guadagno.

Sempre più spesso, si scelgono equipe di lavoratori specializzati, ci si sforza di si appiattiscono persino le differenze fra trucco e parrucco, affidando le due maestranze a una figura singola:

ma “un bravo acconciatore, se davvero di talento, non potrà mai essere altrettanto bravo a truccare, e viceversa”.

Per quanto le due cose abbiano una base comune, richiedono specializzazioni diverse e affidarle entrambe a un singolo individuo significa necessariamente rinunciare all’eccellenza in uno dei due campi.

L’arte, insomma, accusa ancora una volta il colpo dell’economia, ma non manca chi, come il mio intervistato, continua a muoversi in direzione ostinata e contraria.

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