Fabio Granata racconta la Sicilia dalla destra antimafia a Paolo Borsellino


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Ci si potrebbe chiedere da quale parte politica giunga o verso quale porto veleggi, se ci si lasciasse confondere dalla presenza di Claudio Fava e Nello Musumeci, uno accanto all’altro, al tavolo dei relatori, ma il testo di Fabio Granata “Meglio un giorno”, presentato venerdì scorso a Catania alla presenza di Ruggero Razza nei panni di moderatore e di Marco Iacona, giornalista, più che un’operazione politica e culturale, si pone al lettore come cronaca storica, come voce alta che si leva contro un senso rassegnato di noncurante abitudine.

Un excursus scrittorio, a tratti lirico, in parte inedito, che «nasce dall’idea di una comunità di siciliani consapevoli, un’unica comunità di destino, di volenterosi, che rappresenta una certa idea di Sicilia. Una comunità politica che avrebbe dovuto fare, che deve fare e che dovrà fare –sottolinea l’autore- della difesa dei beni comuni, della difesa della legalità e della difesa dell’interesse diffuso la propria bandiera.»

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Da sinistra Ruggero Razza, Fabio Granata, Nello Musumeci, Claudio Fava e Marco Iacona

Un racconto che lontano dall’essere una «sciocca rivendicazione identitaria» del magistrato palermitano, ne diviene esaltazione di differenza, come di colui che –rispetto ad altre vittime di mafia- «pur vedendo consumarsi una certezza di morte non se ne tirò mai indietro.»

Quel Borsellino che alla festa dei giovani di destra si rivolse a loro con un indimenticabile intervento, una sorta di «orazione civile –continua Fabio Granata- in cui disse cose che si sarebbero poi rivelate vere: “Lo Stato non ha mai iniziato la lotta alla mafia perché avrebbe dovuto combattere se stesso”.»

Un messaggio, dunque? Un monito, forse, quello del testo che, superando ogni schieramento in nome di uno spirito politico comunitario, richiamerebbe, piuttosto, quel sentimento condiviso “di rigore morale e di autonomia intellettuale” sottolineato da Fava durante il suo intervento.

Un libro che è già un successo – ha commentato Iacona, alle prese con una meta lettura che andasse aldilà delle 120 pagine del testo- perché «porta in copertina il nome di Borsellino come successo demolitore di quel complesso di “Lo Stato non ha mai iniziato la lotta alla mafia perché avrebbe dovuto combattere se stesso”.»inferiorità di una destra che non si è mai riuscita a vendere per quella che era».

Un libro «coraggioso –ha dichiarato Musumeci- un libro di storia, se volete, un libro di un uomo che si sforza di riconsegnare quello che altri hanno negato o taciuto. Un libro in cui restano il mistero della morte di un magistrato che nessun processo fino ad oggi ha chiarito, il suo isolamento non inedito nella storia italiana, l’ostracismo all’interno della magistratura e i tanti perché che emergono da un’attenta analisi degli eventi che vanno dalla strage di Capaci a quella di via D’Amelio.”

Un libro «meraviglioso –così Fava- che ricostruisce la storia in modo esemplare, non solo perché non è una bandiera che viene alzata, agitata, esposta, ma anche perché ci consegna la dimensione della decenza come valore primordiale e necessario su cui si fondi una nuova idea di nazione. Un libro che vede Borsellino come morto di tutti e come esempio di dignità morale che valga per tutti.”

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