Manuela Ulivi, fondatrice della Casa delle donne: “Troppe denunce archiviate”


Manuela Ulivi, socia fondatrice della “Casa delle donne”, centro di accoglienza delle donne maltrattate di Milano, esercita la professione di avvocato trattando principalmente le materie collegate al diritto di famiglia e minorile e dal 2005 condivide con altre colleghe l’esperienza di Lab5 – Laboratorio giuridico per l’approfondimento e la critica dei temi legati al diritto di famiglia.

Avvocato siamo qui oggi per parlare di difesa delle donne contro la violenza. Qual è la condizione della donna oggi e soprattutto qual è la concezione che delle donne hanno gli uomini?

«La condizione della donna oggi direi che è complessivamente positiva perché le donne hanno raggiunto diversi traguardi, io ho un osservatorio particolare che è quello del maltrattamento familiare quindi vedo un aspetto negativo dentro la positività; in realtà non dobbiamo per forza vedere le donne maltrattate come delle poverette che non sanno, che non hanno o che non possono, spesso sono persone di cultura, realizzate, che potrebbero anche allontanarsi da certe situazioni di violenza, ma che restano legate da rapporti di amore e da certe spirali che la violenza fa nascere e crescere.»

 

Parliamo della “Casa delle donne”, come è nata l’idea?

«E’ nata da un progetto di donne che erano parte dell’U.D.I. (Unione Donne Italiane) oggi Unione Donne in Italia, e che hanno pensato che mancasse qualcosa alla libertà delle altre donne, in tal senso si sono impegnate in un progetto che non era solo quello di donne liberate, ma di donne capaci di mettersi di fronte ad altre donne che non avevano certi strumenti perché non avevano fatto i percorsi che avevano fatto loro negli anni ‘70/’80. Così si è scoperto un mondo, allora nessuno parlava di certe tematiche…»

 

Avvocato, prendere consapevolezza della violenza subita forse è più semplice che denunciarla, ma quali meccanismi scattano nella mente delle vittime, come si può giungere al cambiamento? Siete convinte che da certe situazioni sia più facile uscire attraverso la pratica della relazione tra donne?

«Prendere coscienza della violenza subita è molto doloroso perché significa ripercorrere la violenza, riviverla attraverso il racconto; per questo noi cerchiamo di farlo nei tempi giusti ed in modo adeguato e riteniamo che sia più facile farlo quando ci si relaziona con altre donne. In questo processo è fondamentale l’accoglienza, la relazione con altre donne in uno scambio alla pari; noi abbiamo inventato la figura della “consulente di accoglienza” che è una persona formata per ricoprire tale ruolo, che conosce le dinamiche della violenza, ma soprattutto dell’accoglienza, non è colei che dall’alto del suo sapere ti dice cosa devi fare, è colei che in quanto donna può capirti.»

 

E come la mettiamo con quel senso di colpa che molte giovani donne vittime di violenze soprattutto familiari si portano dietro?

«Direi che non è tanto un senso di colpa che blocca le donne, anche se spesso le donne si sentono responsabili della violenza subita, perlopiù c’è la vergogna e la paura dell’affrontare il lungo percorso giudiziario che ti costringe a ripetere l’esperienza più volte. Le donne non chiedono tanto di vedere il colpevole punito, quanto di uscire dalla violenza e riacquistare la libertà perduta.»

 

Avvocato, lei ha collaborato alla stesura del testo di legge “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” (L. 4.4.2001, n. 154), secondo lei la legge italiana oggi da che parte sta?

«In linea teorica la legge starebbe dalla parte delle donne che subiscono violenza, ma il problema non è tanto questo quanto la preparazione che un magistrato ha nell’accogliere la denuncia di una donna, l’orientamento, la capacità di riconoscere la violenza nelle storie che vengono raccontate. Lo scorso maggio abbiamo denunciato in conferenza stampa il fatto che la nostra procura milanese ecceda nell’archiviazione delle denunce, su 1500 denunce in un anno 800 vengono archiviate; questo accade perché i pubblici ministeri non fanno le indagini o non hanno gli strumenti per farle o credono che le denunce non siano veritiere, spesso forse ci sono dei pregiudizi»

 

Quanto può essere fondamentale la costruzione di una rete sul territorio e da chi dovrebbe essere costituita?

«La rete sul territorio è fondamentale ed è la prima cosa che noi abbiamo cercato già negli anni ’90, l’abbiamo costruita con la Procura ad esempio, con la Polizia di Stato, coi servizi pubblici e privati. La rete può essere costruita con tutti coloro che desiderino dare il proprio contributo.»

 

 

Mi sembra che “La casa delle donne” abbia anche un centralino telefonico per le emergenze, come funziona, qual è il numero?

«C’è un centralino che è il 1522, un numero verde nazionale a cui possono accedere le donne da tutte le parti d’Italia e che poi smista le telefonate a seconda della situazione e del luogo di provenienza della chiamata. »

 

In poche parole e con grande incisività qual è il messaggio che vuole lanciare a tutte le donne vittime di violenza?

«Non abbiate paura di denunciare, non abbiate vergogna, cercate un confronto con altre donne e condividete la vostra esperienza per ritrovare la libertà.»

 

 

 

 

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