Serena Maiorana: “Il femminicidio, un solo colpevole e mille responsabili”


“Stefania Noce era una ragazza normale, attiva nel sociale, appassionata di letteratura e amante della voce rauca di Janis Joplin”. La giornalista Serena Maiorana alla giovane donna di Licodia Eubea uccisa a coltellate ha dedicato il libro Quello che resta- storia di Stefania Noce. Il femminicidio e i diritti delle donne nell’Italia di oggi, Villaggio Maori Edizioni. Ne ha parlato in occasione della tavola rotonda, sul tema Il femminicidio e la violenza di genere, organizzata dalla sezione catanese di Amnesty International, Gruppo 72.

Cosa l’ha spinta a scegliere la storia di Stefania Noce tra le tante vittime della prepotenza maschile?

“L’idea di parlare di Stefania non è stata mia, ma dei due giovani editori, Salvo e Giuseppe, della casa editrice indipendente Villaggio Maori, che hanno dedicato una collana, “La modesta”, alla violenza di genere. Quando mi è stato proposto di scrivere questo libro ho avuto subito molti dubbi. L’argomento è doloroso e per realizzare un buon prodotto sapevo bene che dovevo andare dai genitori, dagli amici di Stefania e riaprire ferite mai cicatrizzate. Ho preso del tempo. Mi sono documentata sulla vita di Stefania uccisa dall’ex fidanzato, a soli ventiquattro anni, con dieci coltellate. Ho deciso di informarmi su come la giovane donna abbia vissuto. Ho voluto conoscere in maniera più approfondita questa ragazza impegnata attivamente nel sociale, trasferitasi a Catania per studiare lettere moderne alla facoltà di Lettere e Filosofia”.

Com’è stato per lei scrivere questo libro?

“Senza dubbio un’esperienza molto forte, perché ho conosciuto, attraverso i racconti dei genitori, della nonna e degli amici, una donna straordinaria. Ho scavato nel dolore della loro anima. Tutto il progetto è nato per sensibilizzare non solo l’opinione pubblica ma per raccontare la violenza del nostro presente”.

Che messaggio vorrebbe dare alle donne in difficoltà?

“È facile piangere i morti ma è giusto domandarsi come ci relazioniamo ogni giorno con i vivi. La soluzione è nelle nostre mani, perché solo attraverso una seria presa di coscienza possiamo cambiare le cose. Le donne muoiono, perché lasciano. Sono più coraggiose quelle che vanno via e non quelle che restano. Il 70% delle donne uccise hanno denunciato il proprio compagno per atti di violenza. Le donne devono essere libere di vestirsi come vogliono, di scegliere il lavoro che preferiscono e di decidere se diventare madri o meno e di volere accanto un uomo che dedichi ai figli e alla famiglia lo stesso tempo che donano loro stesse alla cura familiare. Il femminicidio è l’unico caso in cui c’è solo un colpevole e milioni di responsabili. È fondamentale non rassegnarsi al maschio prevaricatore. È doveroso non subire. Una donna su tre in Italia è vittima di violenza. Al primo gesto violento è fondamentale allontanarsi e chiedere aiuto. Invito tutte le donne, anche coloro che sono a conoscenza di atti di violenza verso le proprie amiche, madri e sorelle, di chiamare il 1522 e rinvigorire così il sentimento di solidarietà e cooperazione fra tutte noi”.

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