Tuccio Musumeci: “Fare l’attore per me? Come fare l’operaio”


“La gente per sorridere ha bisogno, ora più che mai, del teatro”. Inizia così il nostro incontro con Tuccio Musumeci impegnato con la messa in scena di “Non ti pago”, in programmazione fino al 23 marzo, al Teatro Brancati, con la regia di Armando Pugliese, le scene di Riccardo Perricone e i costumi di Dora Argento. Durante una pausa tra i due spettacoli in programmazione, ancora con gli abiti di scena, tra le sarte impegnate a sistemare l’orlo di un costume e il vociare allegro degli altri attori, scopriamo come sia nata questa particolare edizione di una delle più belle e famose commedie nate dal genio artistico di Eduardo De Filippo in cui ironia, brio e perfetta analisi psicologica dei personaggi diretti da un’abile regia hanno decretato il successo di questo classico drammaturgico senza stravolgere l’idea voluta dall’autore.

Com’è nata l’idea di far rivivere il testo di Eduardo De Filippo in una Catania di martogliana memoria?

“È nato tutto dalla genialità di Armando Pugliese e abbiamo deciso in comune accordo di creare questa nuova messa in scena di “Non ti pago”. Il regista, giustamente, per rendere a noi il lavoro più facile ha tradotto il testo in italiano e successivamente abbiamo adattato l’intera storia nella nostra città, che ha molti elementi in comune con i colori di Napoli come ad esempio la passione per il gioco del lotto. Se Eduardo fosse ancora vivo, secondo me, avrebbe rivoluzionato la commedia sfruttando la mania dilagante dei gratta e vinci”.

Il suo personaggio Ferdinando Quagliuolo è stato interpretato da Eduardo De Filippo. Come si è preparato allo studio di questo ruolo?

“Tutto si svolge a Catania. Parliamo di Sant’Agata, di Sant’Euplio e San Nicola. Ogni cosa è immaginata e vissuta nella nostra città. Non ho immaginato e studiato Don Ferdinando alla napoletana, ma con i pensieri e gli atteggiamenti di un siciliano. L’ironia e il divertimento della commedia sono ingigantiti dalla scelta registica, senza mai snaturare il volere dell’autore, perché ogni commedia di De Filippo è caratterizzata da un riso amaro”.

Prima che inizi lo spettacolo ripete qualche gesto scaramantico, segue un rituale o altro?

“No. Non faccio nulla di particolare. Prima di uno spettacolo sono assalito da una noia tremenda. Dopo tanti anni, non voglio far pensare che mi sia abituato al palcoscenico, tutto diventa estremamente naturale e non trovo nessuna differenza tra il mio lavoro d’attore e quello di un operaio che ogni mattina si alza per andare in fabbrica. In questo caso specifico il mio ufficio, il mio luogo di lavoro è il teatro”.

Il Teatro Brancati, guidato artisticamente dalla sua professionalità, è l’unico teatro che in questo difficile momento gode di buona salute. Qual è il segreto, secondo lei, di questo successo?

(ride)

“È fondamentale la scelta dei testi e delle compagnie. Questo è un momento di crisi, è vero, la gente sta attenta a spendere anche i centesimi ma non credo che non voglia più venire a teatro. Bisogna, solamente, adottare degli spettacoli giusti”,

E come si fa a non sbagliare?

“È giusto creare un equilibrio tra comico e drammatico. Se la programmazione è sbagliata è chiaro che la gente, anche in tempi floridi, non va a teatro. Il Brancati non vive di finanziamenti pubblici ma privati e paragono la gestione e la vita stessa del teatro ad una di quelle trattorie casalinghe gestite dai vari familiari. Devo poter offrire qualcosa di buono, appetitoso che attiri le persone senza inventare piatti strani o particolarmente ricercati. Mi piace offrire ai miei commensali la solidità di un buon lavoro creando un rapporto d’amicizia e facendo in modo che il pubblico ritorni e diffonda il piacere che ha provato durante lo spettacolo”.

Prossimi appuntamenti? 

“A maggio risalirò di nuovo sul palco con Gildo Peragallo Ingegnere e sarò diretto da Romano Bernardi”.

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