E’ iniziato il conto alla rovescia per il debutto di “Maria de Buenos Aires”, operita de tango di Astor Piazzolla su libretto di Horacio Ferrer diretta dal regista Salvo Piro, che domenica 17 giugno alle ore 21 al Teatro Massimo Bellini di Catania conclude gli eventi organizzati dalla Camerata Polifonica Siciliana per il cartellone “Un palcoscenico per la città” promosso dall’Ente lirico catanese. Martedì 12 giugno, alle ore 19, “Maria de Buenos Aires” sarà presentata all’Istituto musicale Vincenzo Bellini di Catania dal musicologo Giuseppe Montemagno, durante un incontro dedicato principalmente agli studenti ma aperto al pubblico, che vedrà la partecipazione di Graziella Seminara, presidente Istituto Bellini, Aldo Mattina e Giovanni Ferrauto, rispettivamente presidente e direttore artistico della Camerata Polifonica Siciliana, e il regista Salvo Piro, a cui seguirà un ascolto guidato.
Rappresentata per la prima volta nel 1968 al Teatro Colón di Buenos Aires, “Maria de Buenos Aires” è un’opera assai significativa per Piazzolla perché è l’unica del genere in tutta la sua produzione. L’autore del libretto è Horacio Ferrer, figura che ha lavorato spesso con il compositore argentino, mentre la musica è interamente dovuta a Piazzolla, e si dice che sia stata ispirata alla cantante italiana Milva, che l’ha portata in scena in numerose tournee. L’opera, pensata originariamente per essere trasmessa in radio, è strutturata in due parti, ognuna delle quali formata da otto brevi quadri. La trama che Ferrer forgia dall’unione tra sacro e profano, come da tradizione latino-americana, trae spunto da una leggenda metropolitana d’inizio novecento, e rimanda metaforicamente alla storia della fondazione e rifondazione della città di Buenos Aires nel sedicesimo secolo.
Maria è un’operaia di un’industria tessile di Buenos Aires che, dopo essere diventata una cantante di tango, entra in una casa di tolleranza dove muore molto giovane. In uno scenario surreale, la sua morte è decisa durante una messa nera tenuta da personaggi malfamati: ubriachi, assassini, ladri, prostitute e protettori, che sono i personaggi metafora della crisi argentina degli Anni 60.
La sua condanna a morte è anche una condanna all’inferno (che coincide con la città di Buenos Aires) dove vaga lo spettro di Maria circondato da curiosi personaggi. Tra questi c’è il Duende, un folletto demoniaco, che per gioco andrà sulla tomba di Maria e la farà tornare in vita costringendola a rivivere le identiche atrocità e la stessa terribile vita e che aveva lasciato con la morte. Piazzolla e Ferrer recuperano il mito di Maria di Buenos Aires e ne fanno un esperimento teatrale mettendo in relazione la sua storia con la cronaca di Buenos Aires degli Anni 60: dopo la caduta del governo Peron sono anni difficili e di grande crisi e instabilità per tutta l’Argentina.
«A guardare il presente che stiamo vivendo pare, a volte, che qualcosa sia ormai morto per sempre- scrive il regista Salvo Piro che firma anche la traduzione-. E questo di per sé non sarebbe un male, se non fosse percepito come terribilmente importante. Questo vuoto capace di generare un sottile, ma costante e progressivo, intorpidimento d’anima, arriverà un punto, un fondo, in cui “una tegola sulla testa” potrebbe manifestarsi come il destino più desiderabile. Se Amleto, insomma, girava intorno ad un ammaliante, desiderato “dormire”, qui tutto sembra dire: Sveglia! Germoglia! Nasci! Qui tutto sa di vita, “di cielo e di feccia”. Qui, questo “qualcosa” che vuole rinascere, ed ha “l’età di Dio e due ferite antiche”, prende il nome e le forme di una ragazza: Maria, vissuta in un passato mitico. Uccisa e dimenticata, Maria ora giace in un silenzio cimiteriale, lontano, al di là delle cose. E dal silenzio chiede di rinascere. Qualcosa da noi vuole germogliare, tornare in vita? Qualcosa di perduto, di assopito “dentro radice e rabbia”? Ci penserà il Duende e tutta la sua corte di strani folletti a far che il rito si compia, animato dalle parole e dalle note dei due “pazzi piccoli profeti nani”, Astor Piazzolla e Horacio Ferrer. Questa è la nostra “Maria de Buenos Aires”: un rito profano di fecondità e rinascita, una domanda, una strana follia, un grido di gioia, un desiderio sopito che si risveglia, la cronaca di un “miracolo” forse ancora possibile. Ma quale miracolo può oggi risvegliarci insieme dal torpore di un tempo deragliato? Quale forza possiamo invocare, demone o santo, che risponda ad impellente urgenza di umanità? Il teatro non può certo da solo generare cambiamenti o dare risposte, ma può certamente simulare il vero, mettere in vista i nostri sogni e richiamarci a giochi dimenticati, proibiti. E così noi, lasciandoci guidare da Maria, “puttana e dea”, abbiamo dato vita ad alcuni mesi di laboratorio entusiasmante da cui usciamo trasformati. Tutto quello che si vedrà in scena è venuto fuori dalle nostre mani. Ognuno dei numerosi personaggi ha visto la luce dopo lenta gestazione, e così ogni dettaglio, oggetto, parola, suono. Tanto amore, insomma, ed è stato questo il primo “miracolo” che Nuestra Maria ci ha donato. Ma, come si sa, i miracoli non cadono dall’alto, bisogna chiederli, cercali, volerli, bisogna affidarsi e avere fede. Per questo chiederemo al pubblico di partecipare a questo spettacolo, un po’ come si prende parte ad un rituale, chiederemo di contribuire un po’ con le parole, un po’coi corpi, con le intenzioni, coi sogni. Perché il miracolo si compia, con fede. In scena per lo meno». Complice il testo, surreale e visionario, ma soprattutto un’interpretazione del tango lontana dal ballo, quel nuevo tango a cui Piazzolla deve la sua notorietà, “Maria de Buenos Aires” è uno spettacolo che affascina e conquista. Pur seguendo pedissequamente le indicazioni degli autori, l’allestimento della Camerata Polifonica Siciliana – che per le maschere e gli oggetti di scena ha ingaggiato l’artista-artigiano della cartapesta Alfredo Guglielmino – strizza l’occhio alla nostra contemporaneità utilizzando per questa messa in scena anche la multimedialità, come il cortometraggio realiz-zato e interpretato da Carlo Genova tra le strette vizze del quartiere di San Berillo.
Come previsto da Piazzolla e Ferrer, anche questa “Maria de Buenos Aires” vedrà in scena due cantanti (il mezzosoprano Alessandra Lombardo e il baritono Salvo Disca) due voci recitanti (lo stesso Salvo Piro e Mimma Mercurio), due ballerini (Mimma Mercurio e Giuseppe Lotito) e un’orchestra da camera inusuale che comprende una chitarra e un bandoneón, il Piazzolla Ensemble di cui fanno parte Pietro Cavalieri pianoforte, Giovanni Anastasio violino, Maurizio Salemi violoncello, Carmelo La Manna contrabbasso, Alessandra Marino flauto, Giuseppe Ventura clarinetto, Rosario Gioeni chitarra e percussioni, Massimiliano Pitocco bandoneon. Domenica 17 giugno, alle 20, la messinscena sarà anticipata da una guida all’ascolto a cura di Giuseppe Montemagno che si terrà nel foyer del teatro.
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