Giuseppe Carracchia: Vi spiego a che serve la poesia


Giuseppe Carracchia

Incredibile, forse ai più, eppure ancora oggi c’è qualcuno che di mestiere ha scelto di fare il poeta. Sicilia e Donna ha intervistato uno tra i promettenti giovani siciliani ‘inventori di versi’, inseriti nella raccolta antologica Post ‘900. Lirici e Narrativi, Ladolfi editore 2015: ovvero Giuseppe Carracchia. Nato nel 1988 e cresciuto a Palazzolo Acreide, ha studiato a Bologna, a Catania, dove si è laureato in Lettere Moderne con una tesi di Antropologia Culturale, e a Torino, dove ha conseguito la laurea magistrale in Filologia Italiana. Tra i libri di poesia editi: Il verbo infinito (Prova d’autore, 2010) e La virtù del chiodo(L’arca Felice, 2011). Il più recente, Prova del nove, è uscito nel 2015 per Ladolfi Editore.

Intervista a Giuseppe Carracchia

Come si può, in modo nuovo, fare poesia ai giorni nostri?

“Bisognerebbe anzitutto mettersi d’accordo su cosa significhi in modo nuovo. Il nuovo, in qualunque modo lo si intenda, non è garanzia di originalità (termine inflazionato e compromesso) né di efficacia, o per meglio dire potenza comunicativa. Dopodiché, ovvietà delle ovvietà: non esistono formule prestabilite, né in senso assoluto un modo migliore d’un altro. Ciò che esiste è la buona poesia (ma il discorso non vale solo per la poesia), che arriva e ti sposta più in là, prendendoti per mano o prendendoti a spallate, segnando un confine – seppur minimo – tra ciò che eri prima di leggerla e ciò che sei dopo averla letta”.

 Cosa è cambiato nella sua ultima raccolta di poesie, Prova del nove, e quanto è cambiato dalle sue due precedenti raccolte?

Giuseppe Carracchia
Giuseppe Carracchia

Il verbo infinito, libro edito nel 2010, si apre con questa citazione: «La semplicità non è il punto di partenza  ma il fine». Prova del nove è uscito a distanza di cinque anni, nell’autunno dell’anno scorso. Ovviamente io sono molto cambiato e credo che questo, almeno in parte, emerga dal libro che in fin dei conti vuol proprio raccontarli questi anni. Tuttavia quel presupposto del 2010 sulla semplicità è rimasto uno dei punti fissi a cui guardo quando mi chiedo il perché di molte cose. Detto ciò: credo che Prova del nove, nel bene o nel male, sia un libro tutt’altro che semplice, nel quale però porto ad estreme conseguenze sia lo sforzo e la tensione verso una parola pro-positiva. È la storia d’un decennio di vita alla ricerca di quella semplicità”.

La poesia ci serve ancora?

“È una semplice e bella domanda. Diciamo che ognuno dovrebbe capirlo da sé quanto possa essergli utile la poesia, così come la narrativa, o qualunque altra messa in forma di un discorso che tratti di giardinaggio o di algebra; e ciò dipende anche dalla formazione culturale che il caso ci concede. Quando parlo di caso, però, non voglio mica lasciar intendere che non ci siano delle precise responsabilità, e in questo senso mi rivolgo soprattutto al mondo della scuola, dell’università, degli insegnanti, degli educatori di ogni livello. Posso però, senza alterare la forma della domanda, puntarmela contro chiedendomi: la poesia è ancora in grado (lo è mai stata?) di rendere un ‘servizio’ agli uomini? E quanto responsabili sono i poeti, con alcuni loro atteggiamenti, e gli editori, le riviste, i festival, di una fruizione parziale o persino sbagliata e deviante della poesia stessa? Aldilà delle possibili provocazioni, la mia risposta è ovvia: io credo che la buona poesia abbia sempre reso un servizio, e continui a farlo.

Oltre il periodo storico, cosa la accomuna agli altri autori di Post’900 lirici e narrativi?

Prova del nove, il libro di Giuseppe Carracchia
Prova del nove, il libro di Giuseppe Carracchia

Mi sento di condividere pienamente quanto detto da Matteo Fantuzzi, coordinatore dell’antologia, che ribadisce quanto emerga «fortissima la voglia di cambiamento», aggiungendo che il precariato raccontato da questi autori non è «in definitiva una mera descrizione della realtà, per esempio, lavorativa, quanto piuttosto la crisi dei valori e dei sentimenti che hanno devastato la nostra società». Vorrei inoltre aggiungere, considerando il luogo in cui è ospitata l’intervista, che non pochi siano i giovani e bravi poeti siciliani appartenenti appunto alla generazione dei nati tra gli anni ’80 e ’90, tra cui Dina Basso e Sarah Tardino, Noemi De Lisi, Gianluca Furnari, Giuseppe Nibali. Allo stesso modo non poche sono le attività nate negli ultimi anni in Sicilia: dal Centro di poesia contemporanea di Catania alla rivista online EstroVerso, al sito Carteggi letterari. Resta però il fatto che almeno metà di questi autori ha comunque deciso, o si è trovata costretta, a vivere lontano dalla Sicilia”.

Cosa consiglia Giuseppe Carracchia a chi vuole scrivere poesie?

“Domanda serissima, validissima in sé e per sé e più che legittima; ma non può che farmi sorridere. In questi casi il vate di turno dice che è importante leggere i classici, passare e ripassare al pettine della tradizione. Io invece, per deformazione personale, consiglierei sempre di giocare a biliardino  e andare a correre fino a non sentirsi più le gambe. Non smetto di leggere i classici, ma proprio perché trovo più informazioni utili relativamente alla corsa e al biliardino leggendo Dante o Sereni, Penna, Deleuze o Thoreau, di quante non ne possa trovare in manuali e tutorial su youtube. Per quel che vale, dico al tu per tu che per caso capita tra queste pagine: non devi leggere tanto solo perché questo può istruirti al mestiere del poeta; devi leggere tanto se senti il desiderio di farlo, per una sola ragione: ti assicuro che fuori di te c’è un mondo in grado di dirti cose su di te che non avresti mai immaginato, mai. Se poi scriverai, tutto questo non potrà non condizionarti, e a volte ti sembrerà condanna, altre volte benedizione; e sospeso tra le due cose scriverai sperando di diventare una persona migliore, come migliore ti ha reso quel mondo che hai letto.

 

 

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