Elvira Siringo: “Se mettiamo in cima gli affetti siamo salvi”


Vincitrice del premio letterario Internazionale “Martinsicuro” (2013), con il giallo “Una seconda occasione”  Elvira Siringo, siracusana, docente di storia e filosofia, di sé dice “ho vissuto i miei primi venticinque anni di vita facendo la figlia, per i successivi venticinque mi sono dedicata alla mia famiglia, marito e figli, pur continuando ad essere anche figlia. Dopo ho aperto un’altra finestra, pur continuando a portarmi dietro il bagaglio di ruoli che la vita mi ha cucito addosso ho ricominciato ad essere me stessa secondo una nuova modalità, quella della scrittura”. Questa ‘stanza tutta per sé’ si è aperta a partire dall’amore per i libri. “Ho sempre amato i gialli e perciò è da li che mi sono mossa: Se vogliamo scrivere storie interessanti dobbiamo chiederci quali storie ci piacerebbe leggere!”.

In realtà il giallo è solo il genere di un romanzo che descrive con grande umanità e delicatezza i vissuti delle donne siciliane, quelle in ombra, le invisibili, poste al margine di un immaginario sociale che appare nello sfondo. Le donne protagoniste dei suoi romanzi dicono tutto l’amore e il dolore della vita, che le scelte, cui ogni ciascuna è posta di fronte e che per le donne sono immediatamente iscritte nel corpo.

Il romanzo prende le mosse da un precedente suo libro, La zia di Lampedusa, può spiegarci come?

“La zia di Lampedusa è il mio primo romanzo e come tale avrà sempre un posto speciale. Innanzitutto l’ispirazione per Una seconda occasione deriva dalla curiosità dei molti lettori che mi chiedevano notizie dell’anziana protagonista. La zia torna in una dimensione totalmente diversa, indietro nel tempo di oltre trent’anni. Nel cuore degli anni ’70 si rivelerà una delle protagoniste del cambiamento di un’epoca. In lei leggiamo la maturazione del risveglio di coscienza che porterà le donne all’emancipazione dagli uomini. Inoltre sono presenti, e ringiovaniti, altri due personaggi: il carabiniere e sua moglie”.

Il tema di fondo è sempre lo stesso: la giustizia?

“Tuttavia ne La zia di Lampedusa si evidenzia soprattutto il contrasto insanabile fra legge scritta e legge del cuore, nell’ambito del tema delle migrazioni. Una seconda occasione invece radicalizza il tema della giustizia fino a metterne in serio dubbio perfino l’esistenza. Ci sono anche altri temi in comune: l’esistenza immaginaria delle frontiere, l’acqua come elemento unificatore, l’amore e la condivisione come risorsa per andare avanti nella vita”.

Di questo racconto corale colpiscono molto le figure femminili, è una scelta?

“Certo, i personaggi femminili hanno uno spazio più ampio, direi che ciascuna di loro conserva una parte dei miei ricordi di quegli anni cruciali, di lotta per l’affermazione dei diritti che hanno rivoluzionato i modelli di vita femminile. Anni di conquista di due tappe fondamentali: il divorzio e l’aborto, anni della rivoluzione culturale e del costume. Ecco, allora eravamo convinte che l’affermazione dei nuovi diritti costituisse una questione di giustizia per le donne che imparavano a camminare coi loro piedi, oggi ci accorgiamo che non è stato perfettamente così. L’aborto rimane comunque una scelta dolorosissima pagata interamente sulla pelle delle donne e anche il divorzio, spesso, si rivela solo la scorciatoia verso un’infelicità ancora più grande”.

La letteratura è sempre un po’ avara di figure femminili positive che possano diventare figure da emulare o simbolicamente positive per l’immaginario di lettrici donne, quali di queste indicherebbe come immagini positive del femminile e quali invece restano bloccate dalle contraddizioni della vita?

“Mi dispiace dover rispondere che le donne di questo romanzo al principio sono delle sognatrici piene di grandi disegni ideali, alla fine sono tutte costrette a ripiegare i loro sogni e a ridimensionarli per fare i conti con la concretezza della vita che non è mai come la si immagina in teoria. È come se si infrangesse l’utopia di poter realizzare il proprio sogno. Il sogno resterà tale, e come tale irraggiungibile. La realtà è un’altra cosa. In questo senso Una seconda occasione è anche la storia di un processo di risveglio, anzi, di tanti risvegli”.

Dunque, il segreto è tutto nel sapersi accontentare?

“La buona, vecchia, morale cartesiana ci viene in soccorso e recita presso a poco così: “Se vuoi esser felice non ti ostinare a voler cambiare la Fortuna e le cose del mondo, cambia piuttosto Te stesso e i tuoi desideri!”. Ciascuna insegue la giustizia da un suo personale punto di vista, tale modello di giustizia porta ad agire conformemente ad una scala di valori. Chi mette in cima a tutto gli affetti si salva, chi antepone a tutto l’avidità e l’accaparramento dei beni materiali, rimane sconfitto dalla vita stessa”.

Il titolo “una seconda occasione” rimanda a una domanda forte, si può aspirare davvero ad una seconda occasione? Il romanzo che risposta offre?

“Spesso si usa dire che a tutti, nella vita, è data un’occasione. Bisogna saperla cogliere! Ecco, io mi sono chiesta: cosa succede quando si lascia sfuggire il momento giusto? Penso che in realtà la vita ci offra sempre alternative, seconde, terze, quarte, infinite occasioni che noi non prendiamo neanche in considerazione finché la nostra vita è soddisfacente, tuttavia se e quando vogliamo cambiare direzione non mancano mai le vie di fuga. Inoltre Una seconda occasione vuole evidenziare che non è mai troppo tardi per ricominciare. Solo che spesso non ci è dato di sapere quando inizia il poi, ce ne rendiamo conto solo dopo aver svoltato, per nostra o per altrui scelta. Infine, svoltare, cogliere Una seconda occasione, non deve significare rinnegare il passato, può essere anche, solo, una forma di maturazione”.

Si può sperare di coinvolgere le giovani generazioni nell’amore per la lettura?

“Se si scrive è per comunicare qualcosa, come quando si parla, dunque occorre l’interlocutore, giovane o adulto poco conta. Certo è che, se vogliamo formare future generazioni di lettori, dobbiamo scrivere storie che possano interessare un pubblico giovane, non tentare di imporre loro la lettura di opere che andavano bene per noi, mezzo secolo fa, restando delusi se poi non riscuotono alcun entusiasmo! Io da anni vivo in mezzo ai giovani perché insegno e devo inventarmi approcci sempre nuovi perché loro cambiano a gran velocità ed io, pur arrancando, devo varcare la “porta spazio-temporale” (la cattedra e il registro) che ci divide e riuscire a comunicare realmente con loro! Ripercorrere la rivoluzione culturale femminile degli anni ’70, oggi, forse ha il senso di voler ricordare ai giovani come eravamo e quanto poco siamo distanti da loro. Perché nell’estrema mutevolezza dell’esteriorità rimane immutato il mondo dei sentimenti e delle emozioni”.

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