L’arte del poliedrico Pablo Echaurren


echaurren

Pablo Echaurren è un artista contemporaneo, dalla multiforme attività. È stato sempre controcorrente ed è impossibile classificarlo all’interno delle varie correnti artistiche.Pablo Echaurren è poliedrico e si è mosso tra pittura, illustrazione, fumetto, ceramica, copertine di dischi, pubblicità, sigle televisive, film, libri, cui si aggiunge l’attività di collezionista di opere e documenti futuristi che porta avanti da decenni attraverso una fondazione creata insieme alla sua inseparabile compagna, la studiosa Claudia Salaris. L’artista, ha realizzato numerosi fumetti di avanguardia come Caffeina d’Europa, Nivola vola, Futurismo contro, Vita disegnata di Dino Campana, Evola in Dada, Vita di Pound, Dada con le zecche. È autore della copertina del romanzo Porci con le ali e ha disegnato molte copertine per altri romanzi. Ha cercato di cambiare spesso stile per non annoiarsi e anche, in qualche modo, per non essere incasellato e per sfuggire alle logiche del mercato. Sicilia&Donna ha avuto l’opportunità di intervistarlo e, con una piacevole chiacchierata, ci ha raccontato della sua idea dell’arte, delle sue radici siciliane, delle sue origini artistiche e dell’idea che ha dell’Italia.

Come vede l’arte nel momento della pandemia?

Non ho una considerazione dell’arte come panacea o medicina. L’arte è un linguaggio, è qualcosa che si produce, una lente con cui osservare il mondo, non può dare soluzioni. In questo momento di fermo culturale c’è un modo di vedere diverso. Per ogni artista, tutti gli eventi, anche quelli più difficili, possono essere ricerca ed ispirazione.

Lei è figlio d’arte, ma la sua carriera inizia in maniera indipendente. Quando ha capito che l’arte sarebbe diventata la sua strada?

Sì, è vero, sono figlio d’arte, ma mio padre è andato via quando avevo tre anni e in famiglia non sono mai stato indirizzato verso il campo artistico. Da bambino volevo fare l’entomologo, lo studioso di insetti, soprattutto  scarabei. Poi da adolescente mi sono avvicinato alla musica e sono passato ad un altro genere di “coleotteri”, quelli che stanno sui palcoscenici, i Beatles. Volevo diventare bassista. Al liceo andavo molto male. Ritengo che gli incontri nella vita siano determinanti. In quel periodo ho incontrato l’artista Gianfranco Baruchello e frequentandolo ho trovato quello che mi piaceva fare. Ho iniziato copiando i suoi lavori, che sembravano delle scatole colorate per insetti. Baruchello portò i miei lavori a Milano al gallerista Schwarz, che li comprò tutti, mandandomi a dire che una volta terminata la scuola, ne avrebbe comparti altri. Così a soli diciannove anni andai via di casa, con un’indipendenza economica. Ho cominciato a seguire questa strada grazie a Baruchello, esponendo a Zurigo, Basilea, Berlino, New York e Philadelphia.

Ci può raccontare delle sue radici siciliane? Mia madre si chiamava Angela Maria ed era siciliana, precisamente di Patti, provincia di Messina. Il mio bisnonno, Giuseppe Faranda, era un personaggio pubblico, impegnato politicamente, un antifascista ed era di Tortorici.  Io non conosco molto la Sicilia, ma ricordo i paesaggi delle Eolie.

    Quali sono gli artisti che hanno influenzato o ispirato maggiormente la sua arte?

Sicuramente ho apprezzato i lavori di Baruchello. Poi negli anni tra il ’70 e il ’73 ho frequentato i “colleghi” che erano tutti più grandi di me e sono rimasto legato a Duchamp, Mambor, Kounellis, Angeli, Novelli e Twombly. Ricordo anche la pittrice siciliana, Carla Accardi.

Alla fine degli anni ’70, nel periodo della contestazione, lei viene paragonato al futurista Marinetti, per quale motivo?

Questo paragone mi è stato fatto come un’ “accusa”. In quel periodo seguivo una strada dadaista e quando c’è stata questa comparazione, mi sono avvicinato al Futurismo e ho scoperto che Marinetti è stato uno dei grandi geni italiani che intuì che l’arte è alla portata di tutti.

Potrebbe spiegarci meglio la storia del suo alter-ego “Llabotè Danlaru”?

Duchamp aveva il suo alter-ego e io ho pensato di crearne uno mio, femminile. Richiama il nome di una donna che potrebbe essere rumena, ma il suo suono, nella pronuncia francese, significa “la bellezza è in strada”. Ho sempre creduto che l’arte non deve essere prerogativa degli artisti. Preferisco l’arte di strada, quella che si avvicina di più alla gente.

Come vede il ruolo della donna nell’arte contemporanea?

In questo momento, l’artista donna ha un ruolo privilegiato, ha un’estrema visibilità, soprattutto in America. Le donne hanno la possibilità di unirsi e creare solidarietà. Gli uomini invece, sono più attratti dalla competizione, dal ritagliarsi una fetta di mercato. È il mercato è un’illusione.

Tra il 2017 e 2018, a Catania è stata ospitata la mostra “Soft wall”, con numerose sue opere. A proposito di Catania e del suo Barocco, che cosa ha percepito?

Di quell’occasione ricordo in maniera particolare l’affettuosa partecipazione del pubblico, soprattutto dei giovani. Questo mi ha dato un senso di risarcimento, perché io vedo il futuro non in modo positivo. I catanesi sono persone ricettive, che forse hanno poche occasioni e mostrano il loro interesse per gli eventi culturali. Le amministrazioni dovrebbero puntare maggiormente su questi eventi. Per quanto riguarda il Barocco, non lo amo molto, ma lo preferisco al Rinascimento, perché c’è più contaminazione. Prediligo periodi come il Medioevo, il Gotico e la preistoria.

Poiché il nostro è un magazine siciliano, non posso fare a meno di porle questa domanda: se per ipotesi, dovesse realizzare un’opera che rappresenti la Sicilia, quali forme, quali colori e quali materiali utilizzerebbe?

Immagino una ceramica, con un elefante nano, del periodo preistorico (che era presente in Sicilia), con un carretto siciliano decorato coi tipici colori.

E come rappresenterebbe l’Italia?

Come un patchwork, con le cuciture che stanno cedendo e l’imbottitura che fuoriesce. La vedo abbastanza disastrata. Mi rendo conto di ciò anche quando cammino tra le vie di Roma, la città dove vivo, che è in uno stato di assoluto degrado. Il Centro-Sud è abbandonato, non solo dalle amministrazioni, ma anche dagli stessi cittadini e questo è preoccupante.

Sta lavorando a qualcosa di nuovo?

Preferisco sempre di più il “non fare”, all’idea dover sfornare incessantemente sempre nuove cose. Io ho una visione nera del futuro. Lavoro a delle scatole e ragiono sul destino dell’uomo. Rifletto su come l’Homo Sapiens si sia evoluto sulla terra, distruggendo gli animali, ma nel fare ciò ha piantato le basi per distruggere se stesso. Anche la pandemia è una distorsione dell’Homo Sapiens. Mi chiedo come sarebbe stato il mondo, se al posto della specie dell’Homo Sapiens, fosse sopravvissuta quella dell’uomo di Neanderthal. Sarebbe andata diversamente?

 

 

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