Consulta decide di non decidere su fecondazione eterologa. Il legale Costantini spiega l’intera vicenda


La Consulta ha deciso di non decidere. Rimane un punto interrogativo la questione sulla fecondazione eterologa. Di seguito vi riportiamo una lettera a firma del legale Maria Paola Costantini del Foro di Firenze che spiega in sintesi i vari passaggi che hanno coinvolto anche una coppia catanese e il centro etneo Hera.

 Alla Corte Costituzionale sono arrivate tre ordinanze: Tribunale di Firenze, Tribunale di Catania e Tribunale di Milano. Nel processo si sono costituite le tre coppie e uno dei medici, il ginecologo Antonino Guglielmino, che era stato oggetto della richiesta di donazione da parte della coppia catanese, alla quale ha dovuto necessariamente dare risposta negativa. A favore delle coppie sono intervenute, tra le altre le associazioni, la catanese Hera e l’Associazione per la menopausa precoce. Si sono costituite contro la richiesta di modifica della Legge: il Governo italiano (attraverso l’Avvocatura dello Stato) e il Movimento per la vita.


I giudizi di Catania e di Milano sono stati curati dal collegio di difesa delle coppie costituito da: Marilisa D’Amico, ordinario di diritto costituzionale dell’università di Milano, Maria Paola Costantini, avvocato del Foro di Firenze, Massimo Clara del Foro di Milano e Sebastiano Papandrea del Foro di Catania. Il medico che si è costituito nel processo davanti alla Corte Costituzionale, il dott. Antonino Guglielmino, direttore del Centro UMR di Catania, è difeso da Pietro Rescigno, ordinario di diritto privato all’Università di Roma, e da Andrea Barenghi, ordinario di diritto privato.

            La questione sollevata è la tutela delle coppie con sterilità di uno dei componenti, o determinata da menopausa precoce (la coppia di Catania) o dipendente da problematica genetica maschile (coppia di Firenze e di Milano).

            Al centro della questione, oggetto della decisione della Corte Costituzionale, sono diritti fondamentali, quali quelli:

– di decidere della propria esistenza,

– di costruire una famiglia,

– di aspirare a una legittima esigenza come quella della procreazione,

– di essere protetti nelle pratiche sanitarie.

            In questa visione, la difesa evidenzia come il divieto di donazione dei gameti previsto dall’art. 4 comma 3 della Legge 40 viola diritti e principi costituzionali quali quello del diritto alla dignità della persona e alla capacità di decidere sulla propria esistenza (art. 2 ), il principio di uguaglianza (art. 3), il diritto alla tutela della salute (art. 32) e il diritto a costituire una famiglia (art. 29, 39 e 31 che disciplinano il matrimonio e la filiazione).

            Con l’eliminazione del divieto – a differenza di quanto avviene oggi – le coppie italiane potrebbero accedere alla donazione con la sicurezza:

–          di poter rintracciare i donatori e in caso di malattia del nascituro, ottenere tutte le informazioni necessarie per le cure in Italia. Nelle normative che disciplinano attualmente anche i Centri di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) e cioè i decreti legislativi n.191 del 2007 e 16 del 2010, nonché nell’accordo Stato Regioni del 2012, si prevede infatti la tracciabilità di tutti i dati genetici inerenti tessuti e cellule umane;

–        di avere un trattamento sanitario rispettoso del diritto alla cura e dei principi di buona pratica medica, atteso le norme vigenti in ambito sanitario e relative alla sicurezza e al rischio clinico, con l’obbligo di notifica degli eventi avversi;

–        di non produrre fenomeni di mercificazione e di sfruttamento in particolare delle donatrici in quanto i gameti potrebbero essere donati, con spirito di solidarietà e quindi nella completa gratuità dalle altre donne che accedono per motivi di infertilità ai centri di PMA, le quali potrebbero donare i propri ovociti non utilizzati. Lo stesso per i partner maschili;

–        di avere gameti controllati e sottoposti a screening e verifiche in merito alla possibile trasmissione di infezioni e di malattie genetiche.

 

            La stessa Legge 40 garantisce che non nascano legami con il donatore biologico sia sotto il profilo giuridico che materiale. Infatti è previsto dalla legge che non possa sussistere alcuna pretesa in capo al donatore e nessun rapporto giuridico tra questo e il nascituro così come non è possibile il disconoscimento di paternità.

            L’impianto della Legge 40, che consente l’accesso solo alle coppie di maggiorenni, di sesso diverso e in età fertile, non verrebbe modificato (e quindi non si aprirebbe né a single, né a omosessuali, né a donne “anziane, né all’utero in affitto).

 

            Per questi motivi la difesa sostiene che il divieto così come previsto dalla Legge 40 è irragionevole e discrimina le coppie con un grado maggiore di infertilità impedendo loro di perseguire un progetto genitoriale. Il divieto produce altresì, attualmente, una situazione di incertezza e di insicurezza anche sanitaria per le coppie che sono costrette a migrare. La gran parte di queste si rivolge a Centri in Europa dell’Est o in Grecia o altri paesi extra europei che hanno costi più bassi, creando un mercato delle donatrici e quindi determinando una situazione di sfruttamento.

            Su queste posizioni sono corcordi e unanimi anche le Società Scientifiche Italiane della Medicina e Biologia della Riproduzione – ossia Società Italiana Fertilità e Sterilità e Medicina della Riproduzione (SIFES e MR), Società Italiana Ospedaliera Sterilità (SIOS), Cecos Italia, Società Italiana della Riproduzione (SIDR) – che hanno presentano all’interno del procedimento un documento a sostegno della donazione dei gameti.

 

 

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