Le donne, la violenza e il riscatto. Questo il messaggio chiave del corto Disagio in versi, un progetto artistico che lega cinematografia e musica, prodotto da Brick Studio e realizzato a Catania dalla rapper Eva Rea e dalla regista Lidia Riolo. Sei attori non professionisti inscenano disagi sociali recitando ruoli certamente non legati alle loro vite, ma fortemente realistici. Ed è tutto un mostrare “in versi” il crudo disagio vissuto sul quotidiano palcoscenico della vita, dove, atrofizzate dai sensi di colpa e dal pudore, tante donne indossano maschere per vivere a forza una realtà sociale che le schiaccia. Il corto vuole essere uno stimolo affinché tali maschere vengano dismesse giungendo alla denuncia e alla richiesta di aiuto, nella consapevolezza che senza accettazione della macchia, dello stigma e del dolore, non è possibile ripulire la coscienza e andare avanti.
Due giovani donne unite da un progetto musicale per lottare contro gli abusi al femminile. Come è nata l’idea?
«Nasce tutto da una canzone che ha lo stesso titolo del video e che io stessa ho scritto circa due anni fa, cercando di capire, da donna, come poter trattare il disagio soprattutto in riferimento al tema dell’abuso da parte del datore di lavoro, poi l’incontro casuale con la regista ha dato il via al progetto.»
Eva, il video affronta un cliché, ahimè abbastanza noto, il binomio donna-amante, come mai la scelta di questo tema?
«Sì, è così, ma è da evidenziare che non si tratta dell’amante che conosce la situazione del suo partner e volontariamente decide di essere tale, ma di colei che ignora di esserlo e che quindi viene, in qualche modo, usata dall’uomo. Anche questa è una forma di abuso e di violenza. Il concetto che deve passare è quello che fa del dualismo moglie-amante il dualismo vendetta-giustizia; ho voluto mettere lo spettatore nella possibilità di identificarsi in un buono e in un cattivo esempio per lanciare, alla fine del video, un messaggio positivo».
Oltre che sceneggiatrice, lei è anche autrice del testo, ha scelto un linguaggio, verbale e non, molto forte che unisce disagi di diverso tipo, quali altre tematiche vengono toccate dal video?
«Anche il concetto di pedofilia rientra nel corto, lo vediamo nella figura della moglie, che ad un certo punto decide di assoldare uno scagnozzo per liberarsi di colui che quando era bambina aveva abusato di lei. Un altro concetto chiave è quello del dislivello sociale incarnato dalle due donne, la moglie facoltosa e l’amante costretta a fare la cameriera.»
Il corto è ambientato a Catania ed immagino che risenta del contesto sociale che vive la città, come si sposa, oggi, il linguaggio rap all’interno di tale contesto? Funge da veicolo sociale, è un forte codice comunicativo per quale target?
«Il rap è la musica dei giovani e non è un caso che, soprattutto oggi in Italia, il rap parli dei disagi che vive la società, questo è evidente nel video, la differenza sociale fra la moglie e l’amante, come dicevo, sono un altro aspetto su cui si basa il concept. I giovani catanesi sono assolutamente privi di speranza, la disoccupazione dilaga, dunque senza dubbio il messaggio è rivolto ai giovani che diverranno adulti.»
Lidia, Disagio in versi: un corto o una clip?
«Ho voluto realizzare un prodotto che non si basa sul visual del labiale, ma che diffonde semplicemente un messaggio; io lo applico in maniera cinematografica, vuol dire che non è l’artista che deve far pubblicità a se stesso, ma desidera veicolare un messaggio sociale insieme al regista.»
Il suo commento è «3 minuti di scene talmente forti da disgustare lo spettatore e condurlo ad innescare una reazione», è così? Di quale reazione si tratta?
«Sì, è così, le immagini più forti che ho voluto rappresentare sono i passi dello scagnozzo che, in modo circolare, si vedono all’inizio e poi alla fine del video sporchi di sangue del pedofilo ucciso, è come voler dare un inizio ed una fine alla sceneggiatura. Dopo i passi insanguinati ha luogo un processo che mi piace definire karmico perchè il video, da questo punto in poi, veicola solo messaggi positivi.»
Lidia mi sembra di capire che questo video vada aldilà del prodotto commerciale, è corretto?
«Assolutamente sì, il messaggio che abbiamo voluto dare non è quello commerciale, ma -potrei dire- di cinema indipendente; un linguaggio cinematografico da cinema d’autore in cui i particolari, che ho accuratamente evidenziato, sono fondamentali affinché il messaggio finale venga veicolato. Possiamo considerare il video quasi una medicina da prendere fino a che non porti alla guarigione, rappresentata dal riscatto. E’ fondamentale che alla denuncia segua una riabilitazione psicologica, solo questo processo potrà davvero riscattare le violenze subite».
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