Barbara Schiavulli: “I giornalisti catturati dall’Isis? Valgono soldi”


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Barbara Schiavulli. Foto Angela Marina Strano

La guerra dentro è l’ultimo libro di Barbara Schiavulli, giornalista che ha vissuto per molto tempo in Medio Oriente, come inviata di guerra. Il libro è stato presentato al BUK Festival di Catania. Barbara Schiavulli descrive in queste pagine le storie dei militari in guerra, guardando al loro aspetto umano. È un libro che ha suscitato un grande interesse ed ha avuto molto successo. Abbiamo intervistato Barbara Schiavulli che ci ha parlato di guerra, di soldati, di estremismo islamico e della dura vita dei giornalisti freelance. “Informare la gente- ci ha detto- è un nostro dovere”.

 Lei é arrivata al Buk Festival di Catania per presentare il suo nuovo libro La guerra dentro. Di cosa parla?

Racconta le storie dei militari in guerra. Secondo me mancava nel panorama giornalistico italiano. Parlo di come tornano le persone dopo la guerra. In alcuni paesi, come l’America e l’Inghilterra, esistono film e fiction sull’argomento. Noi che abbiamo più di 10.000 soldati all’estero, non sappiamo nulla della loro esperienza. Si parla di loro solo quando qualcuno muore. È un libro che parla di persone e di come affrontano le loro emozioni. Un soldato seppur addestrato in guerra cambia, a volte in modo positivo altre in modo negativo. In America ci sono 200.000 persone con una sindrome post traumatica in corso e ciò dimostra un disagio sociale. In Italia i numeri sono molto inferiori, perché i militari all’estero sono di meno, però qualcuno tornato diverso c’è.

Nel libro si parla di vari personaggi. Quale figura l’ha colpita maggiormente?

L’artificiere. Perché è una persona che passa la propria esistenza a disinnescare le bombe e riesce a fermare per un momento la morte. L’idea in sé di mettere le mani su un ordigno è folle, però è segno di grande umanità. Questo lavoro lo svolgono per tutta la vita, finché vanno in pensione o fino a quando, purtroppo, ci rimettono la pelle.

Lei è stata per tanto tempo in Medio Oriente. Qual è la situazione attuale adesso? È cambiato qualcosa per le donne?

La situazione è simile a quella di due o tre anni fa. Adesso si parla molto dell’estremismo islamico e dell’Isis, ma non sono nati ieri. Noi ci sorprendiamo perché non siamo informati, perché i giornali italiani non sono più in grado di offrire al lettore quello di cui ha veramente bisogno. Riguardo alla donna, in realtà c’è molto più interesse rispetto a prima, ma c’è sempre un doppio risvolto. Si parla di più di Medio Oriente, però facendolo in modo sbagliato si rischia di creare islamfobia. Il 98% dei musulmani sono persone tranquille, che sono fuggite dalla guerra e son venute qui per lavorare. È sbagliato accanirsi contro di loro. Si parla dell’Isis e degli estremisti come se fossero una grande minaccia verso di noi, e lo sono, ma lo sono ancora di più per i musulmani, perché adesso stanno ammazzando loro.

Cosa ci può raccontare sui giornalisti uccisi barbaramente?

Uno lo conoscevo. Questo fa parte del rischio del nostro mestiere, che è diventato più grande negli ultimi tempi. In precedenza, ci sentivamo protetti dalla gente, adesso siamo costretti a nasconderci perché c’è sempre qualcuno che potrebbe considerarci una gallina dalle uova d’oro.

Perché accade questo?

I giornalisti locali sono perseguitati, vengono uccisi perché sono visti come un pericolo. Invece, i giornalisti stranieri vengono catturati perché valgono qualcosa. Si è aperto un grande dibattito sul fatto che gli americani non pagano il riscatto e invece gli europei sì. Spesso, quando si sentono queste notizie sui giornalisti, ci sono molti che dicono che “se la sono cercata”, che non dovevano andare. Ma, questo è il nostro lavoro. Le persone hanno il diritto di essere informate su quello che accade lì ed è un nostro dovere informarle. Noi prendiamo tutte le precauzioni possibili, ma può accedere ugualmente qualcosa di brutto.

Quale esperienza l’ha cambiata profondamente?

Sono tante. A 24 anni mi sono trasferita in Israele. Dopo qualche giorno c’era un posto di blocco con una coda lunghissima di automobili. Ero in macchina e davanti a me c’era una donna incinta ha partorito sul ciglio della strada stringendomi la mano.

La sua famiglia come ha vissuto questa sua decisione di voler fare l’inviata di guerra?

All’inizio era un po’ perplessa. Ma poi è stata molto orgogliosa, perché per un figlio la cosa più importante è fare ciò che gli piace.

C’è una differenza tra i freelance italiani e quelli che lavorano all’estero?

Sì. All’estero vengono chiamati per un servizio e pagati in tutto. In Italia, non esisti, sei l’ultima ruota del carro. Cercano di sfruttarti e, non contando più la qualità ma il costo, assumono chi chiede di meno per un servizio. Un altro problema è dato da coloro che accettano di lavorare per pochi euro.

Che cosa le piace leggere?

Per lavoro devo leggere molto sul Medio Oriente. Per diletto leggo i gialli, i thriller, la narrativa. Sono un po’ onnivora, leggo di tutto, tranne di economia.

A cosa sta lavorando?

Ho finito da poco un’inchiesta sull’estremismo islamico e ho fatto un crowdfunding per poterla portare a termine. Ho sempre anticipato le spese per il mio lavoro, ma stavolta ho chiesto aiuto alla gente. Adesso sto finendo un thriller di guerra e sto scrivendo una trilogia di storie. Sono tre storie vere sugli estremismi delle tre religioni: cristiana, islamica ed ebraica.

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